• Un libro a settimana – “BARACCHE” di Fortunato Seminara
    12/10/2014 | Rosanna Giovinazzo | Edicola di Pinuccio

    Baracche è una storia di vinti, di umili e diseredati che vivono, nel primo dopoguerra, nelle baracche di un paese della Piana. Il figlio di un benestante proprietario terriero, Micuccio Caporale, si invaghisce di Cata, una bella ragazza delle baracche che è considerata come una donna perduta, quando Micuccio riesce a baciarla. Durante un pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Polsi al quale partecipano Cata e sua madre, succedono tumulti e liti che vengono interpretati come segni della volontà della Madonna, che Cata non debba, perché “indegna”, presentarsi al Santuario. In questa occasione, un calderaio cinquantenne, Girolamo, chiede Cata in sposa alla madre. Dapprima Cata, che sente nel suo cuore che solo Micuccio potrà essere da lei amato, rifiuta, ma poi, influenzata da amiche e mezzane, cede e sposa il calderaio. Questi, però, viene ucciso durante la cerimonia nuziale, da uno storpio, Gianni di Saia, deficiente, povero relitto umano che aveva sperato di poter sposare Cata. L’epilogo del romanzo è catastrofico: la “spagnola” decima la popolazione delle baracche, Cata cade inevitabilmente nelle mani di Micuccio (“Era destinato che finisse così”, “Non s’è fatto di tutto per evitarlo? Era destino”), le baracche sono distrutte da un incendio che scoppia improvvisamente in una notte di settembre.

    Seminara rappresenta con crudezza, al di fuori di ogni lirismo autobiografico o sentimentale, il mondo degli umili, dei vinti, che è un mondo rimasto fuori dalla civiltà moderna. E questa rappresentazione nasceva da un’esperienza concreta (la sua), quella di una Calabria misera e abbandonata, per secoli, da governi e classi dirigenti, interessati a mantenere questa terra nell’emarginazione; quella di un popolo avvilito, stanco e abbrutito dalle dure condizioni di vita.

    I motivi conduttori delle Baracche sono la fatalità, l’ineluttabilità, inscindibilmente legate a quella realtà fatta di miseria, ignoranza, invidia, arretratezza. Gli abitanti delle baracche, poveri, laceri, affamati, sono dei personaggi insoliti nella nostra letteratura. Ma quell’ambiente, così sordido, è veramente esistito. Nelle baracche “…ammucchiati in poco spazio, vive una folla di poveri: là piacere, dolore, vizio e delitto, formano una catena che avvince gli uomini senza scampo, li domina e li piega col suo potere…”. Gli abitanti delle baracche vivono il disfacimento: “…Le tavole brulicano di insetti e le mosche ronzano a nugoli nell’aria. La gente ha la faccia pallida e smunta, lo sguardo languido: sembra un popolo condannato a macerarsi lentamente…”. Lo scrittore ha colto lo sfacelo storico, sociale ed economico e lo rappresenta in quell’ambiente in cui vizi e violenze, abbrutimento e povertà continuavano, incuranti dei cambiamenti, il loro corso, perché la condizione storica e umana non era mutata. Ignoranti e incoscienti, sfruttatori, mendicanti, storpiati e subumani, utopisti e camorristi vengono fuori da una cultura subalterna deformata, caratterizzata da miti malandrineschi, da condizionamenti e forme di difesa radicate in una società chiusa, frutto di un feudalesimo plurisecolare, ricco di usurpazioni e sopraffazioni. Gli umili, gli oppressi non sono capaci di organizzare i sentimenti, le sofferenze sono ataviche, e l’unica strada percorribile è la rassegnazione nel dolore e nel sacrificio.

    Seminara conosceva bene la sua terra, perché scelse di non abbandonarla, di non allontanarsi da quel piccolo mondo che era un tutt’uno con la sua persona. Il fatto che Seminara abbia vissuto, quasi sempre a Maropati, il suo paese natale, fa di lui uno scrittore originale, diverso da altri autori calabresi (Alvaro, per esempio), che invece vissero lontano dalla Calabria. Infatti, non sono mai presenti, nelle sue opere, componenti emotive legate, per esempio, alla nostalgia o ad altri sentimenti provocati dalla lontananza dalla propria terra. Quella di Seminara è la rappresentazione, sì fredda e distaccata, ma in fondo carica di una volontà di riscatto da una realtà dura: il dramma di gruppi di uomini che lottano contro una condizione, ineluttabilmente e fatalisticamente avversa.

    I personaggi delle Baracche, ma anche delle altre opere di Seminara (La Masseria, Il vento nell’uliveto, Disgrazia in casa Amato, Il mio paese del Sud) testimoniano la presenza di una “umanità inferiore” che propone da sola il problema dell’ineguaglianza tra gli uomini, delle prepotenze, delle sopraffazioni, e già questo è denuncia sociale, nonostante lo scrittore si rinchiuda nel pessimismo, che era stato del Verga, dei suoi miserabili vinti.

    Il legame dello scrittore con la sua terra, come già è stato detto, era molto forte, tanto da renderlo testimone e interprete acuto dei problemi meridionali; e questo aspetto, che rende così incisiva la sua opera, è reso molto eloquente dalle sue stesse parole: “Credo che sia difficile approfondire i motivi della narrativa meridionale, se non si cerca di conoscere il Sud… Il Sud contadino, nella campagna, cela il suo intimo e tragico segreto…”.