• La storia del “Comandante Nanni”: da Cataforio alla testa di una brigata partigiana in Piemonte
    15/02/2012 | Fabio Cuzzola | Strill.it

    REGGIO CALABRIA – Si chiamava Bruno, ma per tutti è stato il “comandante Nanni”. Quarto di undici figli della famiglia Sera da San Lorenzello di Cataforio, un pugno di case sulle colline che si arrampicano da Reggio su fino all’Aspromonte. Suo padre minatore negli Stati Uniti, un’emigrazione precoce nella Torino industriale ai primi decenni del secolo scorso. A soli diciannove anni si arruola nell’esercito, reparto autieri. Lo scoppio della seconda guerra mondiale lo vede in poco tempo su vari fronti fino alla tragica esperienza a supporto dell’Armir in Russia. “Inizialmente per noi giovani poteva sembrare un’avventura, ma solo sul campo di battaglia ci rendemmo conto degli orrori della guerra.” Bruno viene a contatto con la dura realtà così lontana dai toni roboanti che echeggiavano dal balcone di piazza Venezia; vede i compagni morire dalla fame, dal freddo o fatti a pezzi da una mina. “Le truppe erano in genere malvestite ; in particolare i fanti non avevano calze, ma fasce e galosce arrotolate alle gambe; inoltre in prima linea si nutrivano esclusivamente di cibi asciutti, come gallette, pane e carne in scatoletta, e molti morirono assiderati.” La ritirata è un massacro, l’ha raccontata in maniera mirabile Rigoni Stern nel suo capolavoro: Il Sergente nella neve. Gli italiani sono stretti fra le angherie dell’alleato tedesco, il freddo, la fame e i continui assalti dell’Armata Rossa. Viene dato per disperso, tanto che una cognata, dando alla luce un figlio lo chiama Bruno in sua memoria. L’8 settembre del 1943 lo vede a Torino, per nulla sorpreso dall’armistizio. E’ il momento della scelta. La caserma di Settimo Torinese è deserta, tutti sono stati costretti ad una scelta: da un lato le SS e la Repubblica di Salò, dall’altro la montagna e le brigate partigiane. Bruno non esita, non ha mai preso la tessera del Pnf, e si aggrega alle prime bande spontanee del Canavese, le montagne fra il Piemonte e la Lombardia. Assume il nome di battaglia Nanni e nel giro di diciotto mesi arriva al ruolo di comandante della brigata “Spartaco II”, una delle bande dove militarono anche le donne, che agisce sabotando le azioni delle truppe nazifasciste.

     

    partigiani

    “Al cambio della guardia sul ponte della Stura noi riuscimmo a derubare i tedeschi di tutta l’attrezzatura; un’altra volta facemmo saltare il ponte ferroviario sul fiume Orco a Chivasso, in modo che il metallo rubato dai Tedeschi alle Ferriere Fiat non fosse portato in Germania per fabbricarne cannoni. I nazisti andavano a caccia di partigiani ; quando ne trovavano non esitavano a torturarli aspettando che rivelassero dove si trovasse la loro banda; quando non erano fucilati venivano inviati nei lager, insieme ai civili antifascisti. Quanti miei amici sono morti così ! “ Forti dello sciopero generale iniziato dagli operai il 18, il 25 aprile i partigiani entrano a Torino per liberarla, la brigata guidata dal comandante calabrese ha il compito di snidare i cecchini, a sera il capoluogo piemontese è finalmente libero, suggerendo a Pertini il famoso appello lanciato da radio Milano: “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.” E’ il momento della Liberazione! C’è un paese da ricostruire, comunità lacerate da anni di dittatura, odio e guerra. Bruno, decorato per ben due volte sul campo con medaglia al valore, non è a caccia di altri onori o poltrone, s’iscrive alla Cgil ed entra in Fiat. La sua capacità di scegliere la parte dei “vinti” lo porta ad essere protagonista nelle lotte per i diritti dei lavoratori; sono gli anni dell’emigrazione di massa dal Sud, Torino diventa la “Calabria” del Nord, quando gli stranieri eravamo noi e nelle case si poteva leggere il cartello: “non si affitta ai meridionali”. Anni duri, gli anni della presidenza Fiat di Valletta, le schedature ed i sindacati gialli; Bruno viene spostato di reparto in reparto, oggi si chiamerebbe mobbing, ma non si scoraggia, ovunque fa proseliti alla causa dei diritti dei lavoratori. Ogni anno, fino alla morte, sopraggiunta nel 2008, soleva trascorrere, dopo la pensione, lunghi periodi nei luoghi natii dove amava coltivare la terra, incontrare i vecchi compaesani e raccontare delle sue esperienze di vita.


     
  • 1 commento

    1. Maurizio Diano

      Grande uomo Zio Bruno.. E dai racconti la fame passata. I sacrifici e i dolori ma anche le soddisfazioni.

    Lascia un Commento

    L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    *