• Quando il giornalista ha fretta. L’Espresso cita una azienda calabrese come vicina alle ndrine, ma è una topica: il suo titolare ha una storia specchiata. Ecco le testimonianze
    29/11/2012 | Michele Carlino | Edicola di Pinuccio

    IN UN REPORTAGE PUBBLICATO dall’Espresso (e riproposto dall’Edp), Giovanni Tizian raccontando di imprese in odore di ndrangheta presenti al Nord, cita l’Elettroimpianti. Riferisce di una indagine del 2007, ma non del fatto che il titolare, Franco Romeo, sia stato prosciolto in istruttoria, e getta una pesante ombra sulla onestà dell’impresa e del suo titolare. Conosco Franco Romeo da più di venti anni, ho visto da vicino il suo aperto impegno contro la ndrangheta a Gioia Tauro e nella Piana, in anni se possibile ancora più bui degli attuali, e non ho mai dubitato della sua trasparente correttezza e della sua integrità morale. Voglio testimoniargli la mia solidarietà e la mia stima, publicando un puntuale post di Michele Maduli su Facebook, che ricostruisce ogni dettaglio della “disavventura giornalistica”, e rende giustizia alla verità, di fatti e persone.

     

     

    • Michele Maduli, Facebook

     

     

    FRANCO FA L’IMPRENDITORE e vive a Gioia Tauro. Ogni anno, quando ritorno in Calabria, vado a trovarlo. Discutiamo, ci raccontiamo le cose che sono successe agli amici, ai nostri conoscenti, ricordiamo la militanza comune nel Pci, quando dirigevamo il partito nella Piana. Erano anni di grande tensione civile e sociale, quando bisognava fronteggiare problemi di un qualche rilievo, come la difesa del territorio (centrale a carbone), dell’industrializzazione (Centro siderurgico, Porto ecc.); come la mafia che usciva dagli agrumeti e dagli uliveti ed entrava nei grandi affari (fondi europei, movimento terra, sequestri di persona), occupava progressivamente i consigli comunali, dava il via a una sanguinosa ristrutturazione degli apparati. In quei momenti difficili (la mafia aveva ucciso il segretario della sezione comunista di Rosarno, Peppe Valarioti), Franco, Nicola e tanti altri giovani dirigenti, mi aiutavano a tenere i contatti con le sezioni e i gruppi del territorio, a comprendere la natura dei nuovi processi. Poi, dopo la morte del padre, Franco decideva di dedicarsi alla piccola azienda di famiglia e, nel giro di qualche decennio, la trasformava in una moderna impresa con qualche decina di dipendenti.

     

    Qualche anno addietro, l’azienda di Franco, la “Elettroimpianti” viene coinvolta nella cosiddetta “operazione Arca” promossa dalla DDA di Reggio Calabria, ma tutte le accuse vengono, poi, totalmente archiviate, su richiesta degli stessi magistrati inquirenti. Intanto un altro calabrese, Giovanni Tizian, emigrato al Nord dopo l’omicidio del padre, avvenuto nel 1989 a Bovalino, ad opera della ndrangheta, si appassiona al tema delle infiltrazioni mafiose nelle zone del Nord, scrive libri sull’argomento, viene anche messo sotto scorta perché, in base a informazioni investigative, il suo lavoro ha dato fastidio alle organizzazioni che operano in Emilia Romagna. A questo punto il destino di Tizian si incrocia con quello di Franco Romeo perché il giovane giornalista che adesso scrive per L’Espresso, cita il ‘caso esemplare’ della Elettroimpianti: “L’azienda arriva dalla Piana di Gioia Tauro, feudo della famiglia Piromalli. Negli atti dell’operazione Arca sulla ndrangheta nei cantieri della Salerno- Reggio Calabria, si legge che due soci sarebbero vicini proprio alla cosca Piromalli. La donna del gruppo imprenditoriale è cugina di Tommaso Atterritano, «organico alla cosca Piromalli», inserito nel 1998 nell’elenco dei ricercati più pericolosi e a lungo residente a Bologna”

     

    giovanni tizian

    E qui Tizian si fa prendere la mano e si dimentica di compiere dei controlli sullo sviluppo delle indagini relative alla “Operazione Arca”. Così, prima ancora che le Prefetture e gli inquirenti si esprimano sulla integrità delle aziende (tra cui quella di Franco) iscritte nella white list, Tizian esprime seri sospetti sulla stessa azienda, etichettandola come contingua alla mafia perché già coinvolta nella cosiddetta “Operazione Arca” attuata nel 2007 dalla DDA di Reggio Calabria!, perché la moglie di Franco, “la donna” della società, è cugina di un tale che è stato annoverato fra i più pericolosi latitanti, per giunta già residente in passato a Bologna. E’ un grave scivolone che rischia di ritorcersi su una persona per bene e su una azienda che potrebbe essere esclusa da qualsiasi chiamata di lavoro da parte della comunità emiliana.

     

    E’ vero, Franco ha il torto di essere nato e di avere operato a Gioia Tauro e in Calabria. Ma questo è un “peccato” originale dal quale sono marchiati milioni di cittadini calabresi. Il fatto nodale è costituito dalla “Operazione Arca” Lì furono formulate le accuse nei confronti della Elettroimpianti. Ma, sempre in quella inchiesta, Franco venne totalmente scagionato, proprio per decisione degli stessi magistrati inquirenti. Ricordo i mesi di tensione all’interno della famiglia e la legittima soddisfazione nel vedere riconosciuta la totale estraneità di Franco e della Elettroimpianti. Un altro dei capisaldi dell’accusa è costituito dal fatto che Franco ha sposato una donna di Gioia Tauro che ha la sfortuna di avere un parente di sesto grado, accusato di essere collegato con una importante cosca della stessa città. Ma ci si dimentica di dire che lo stesso personaggio era solo un ragazzo all’epoca del matrimonio e che, comunque, non ha da anni alcun rapporto con la famiglia Romeo.

     

    Ebbene, confesso anch’io le mie colpe: ho incontrato più volte uno studioso di letteratura italiana e calabrese che aveva lo stesso cognome della cosca suddetta. Inoltre, anni addietro sono stato inquilino di uno stabile di proprietà di un signore che aveva lo stesso cognome della cosca più importante del mio paese. Non parliamo dei tanti figli di mafiosi di cui sono stato docente nelle scuole pubbliche. In ultimo, confesso che la mia nonna materna, originaria di Cinquefrondi, morta circa 90 anni addietro, aveva lo stesso cognome di una nota famiglia di Rosarno recentemente colpita dalla mano della giustizia. Dimenticavo, sono stato seduto per anni sui banchi del consiglio comunale di Taurianova, più volte sciolto per motivi di mafia. Io ritengo che un giornalista serio, come Tizian, non possa non riconoscere lealmente l’errore commesso; anche perché ne va della serenità di una famiglia e del futuro di un’azienda. E lo chiedo anche da ex giornalista che, di recente, si è espresso duramente contro gli estensori di una legge che mira a colpire la stampa e i giornalisti. »

     

     

     

     

     

    • Mimmo Gangemi, scrittore

     

    «Per quel che può valere la mia parola, sono disposto a testimoniare in qualsiasi sede che Franco Romeo e’ persona assolutamente perbene. Magari ci fossero tante altre imprese serie e oneste come la sua. Da ingegnere ho avuto molto a che fare con la Elettroimpianti, mai nulla da eccepire, era anzi una delle due imprese di cui mi fidavo ciecamente senza mai essere rimasto deluso. Beh, questo che succede a lui sono i rovesci della medaglia, noi che viviamo qua a volte paghiamo per avallare l’efficienza a tutti i costi delle Istituzioni – anche quando bluffano, e succede eccome – e capita che galantuomini come Franco Romeo finiscano ingiustamente sacrificati perché qualcuno si alza al mattino e spara cazzate. Sono con te, Franco, perché ti stimo e ti sono amico – compagno di partito, no :-) »

     

     

     

     

    • Nicola Gargano, già dirigente del Pci

     

    “Franco Romeo è un pezzo della mia vita. Siamo amici fraterni, compagni di una vita. Abbiamo combattutto per gli stessi obiettivi, per gli stessi ideali. Mai nessuna cosa è stata più distante da Franco e Luciana come la cultura mafiosa. Contro la mafia abbiamo fatto le nostre battaglie migliori, più cruente e pericolose. Luciana è una persona straordinaria, gentile, persona fine, donna di classe dai principi sani. Hanno messo al mondo e cresciuto tre ragazzi splendidi, fortemente motivati, ancorati a valori,stili di vita e principi assolutamente irreprensibili. Ora basta. Ne ha passate troppe, la famiglia Romeo. Paradossalmente, proprio su un terreno, quello della mafia, che li ha visti sempre e comunque dall’altra parte, esposti contro. L’altro giorno, quando Franco mi ha trasmesso tutte le sue amarezze, e la voglia di chiudere l’Azienda e gettare la spugna, mi sono posto il problema del “che fare”, ossia del “che posso fare io”. Dopo anni di battaglie politiche, perfino di quando, insieme, in un clima di solitudine e paura, accompagnavamo da Reggio a casa sua Peppino Lavorato dopo l’omicidio mafioso di Peppe Valarioti, ho visto Franco veramente stremato. Non so se FB serve a qualcosa. Comunque, per quel che vale, la mia è una testimonianza d’affetto ma anche un urlo di protesta, un moto di rivolta per tutte le troppe volte che approssimazione, dilettantismo, mietono imperterrite vittime innocenti. Ma che modo è di rovinare esistenze, storie, sentimenti, persone? E mai nessuno che chieda, per una volta, scusa. Lo farà Tizian? Ne dubito. E, in ogni caso, il danno è fatto. Ne uccide più la lingua (e la penna) che la spada”.

     

     

     

    • La lettera di Franco Romeo a Giovanni Tizian, pubblicata tra i commenti al post con l’articolo de l’Espresso

     

    Egr. dott. Tizian Mi chiamo Franco Romeo, ho 57 anni, sono nato e cresciuto a Gioia Tauro dove, purtroppo, ancora vivo e sono ”l’uomo” della impresa “Elettroimpianti S.a.s.” da Lei così amabilmente attenzionata nel servizio “Emilia, la mafia dopo il terremoto” pubblicato a Sua firma nel numero 47 anno 2012 del settimanale “L’Espresso”. Nel suddetto articolo Lei, occupandosi dei tentativi di infiltrazione mafiosa e ndranghetistica nella ricostruzione post-terremoto in Emilia, con appropriati acume e serietà professionale ed, addirittura, sostituendosi ai preposti poteri istituzionali (per alzare il Suo “pollice verso” non ha certo sentito il bisogno di attendere la prevista certificazione prefettizia!), individua almeno quattro casi di imprese inserite nella White List della regione che sarebbero in odore di mafia, tra le quali fa “spiccare” l’impresa che rappresento in quanto: • proveniente dalla Piana di Gioia Tauro! • già coinvolta nella cosiddetta “Operazione Arca” attuata nel 2007 dalla DDA di Reggio Calabria! • Ed ancora, “la donna” della società- albero genealogico alla mano- è cugina di un tale che è stato annoverato fra i più pericolosi latitanti e che ha, addirittura, risieduto in passato a Bologna!

     

    Quindi Lei, giustamente preoccupato per la terribile pericolosità sociale rinveniente dalle suddette circostanze, confeziona una sorta di segno distintivo, una moderna “Stella di David” da marchiare a fuoco sulla mia pelle e su quella dei miei familiari, in modo che il consorzio civile – di cui Ella sente di essere integerrimo ed avanzato rappresentante – ci isoli e ci scansi come, peraltro a torto, si faceva coi lebbrosi. Egregio dott. Tizian, mi scusi se mi sono lasciato andare ed ho usato toni un po’ – diciamo così –irridenti, forse l’ho fatto per stemperare la profonda amarezza ed il senso di sconforto che mi ha procurato la lettura del Suo articolo; ho visto, infatti, i miei diritti di cittadino di uno stato di diritto ancora una volta calpestati ed offesi da un modo – a dir poco superficiale ed approssimativo – di svolgere la Sua professione: Lei, dott. Tizian, è entrato a gamba tesa nella mia vita senza conoscermi , senza peritarsi di approfondire la materia che mi riguardava nell’ambito dell’inchiesta che stava conducendo e, soprattutto, senza curarsi affatto delle conseguenze che questa sua leggerezza avrebbe potuto determinare nella mia esistenza ed in quella dei miei familiari, oltre che sulle attività della mia azienda. Se Lei avesse svolto con coscienza e con proprietà il suo importante e difficile mestiere avrebbe infatti saputo e – voglio presumere – fedelmente riportato nel suo scritto, che le accuse a mio carico contenute nel procedimento giudiziario succitato sono state totalmente archiviate su richiesta degli stessi magistrati inquirenti e che, pertanto e per ciò che riguarda la mia persona e la mia impresa, nulla di quanto Lei riferisce nel suo articolo corrisponde al vero.

     

    Quanto poi al vincolo di parentela di mia moglie – di quella che Lei così scostumatamente e rozzamente chiama “la donna” e che invece è una distinta signora di 55 anni dedita, così lontana da quel mondo in cui Lei la ha tanto leggiadramente inserita, da vivere ormai quasi tappata in casa, fra i sui libri e la sua cucina, pur di evitare quanto più possibile il contatto con una realtà che era ed ancor più è diventata negli ultimi tempi degradata e violenta – quello che Lei fa apparire come uno stretto legame di sangue, altro non è che una parentela in linea collaterale di 6° grado con una persona con la quale, tra l’altro, non sussiste alcun rapporto e, tanto meno, frequentazione e che ai tempi in cui conoscevo mia moglie era forse poco più che un bambino di cui – a meno di possedere doti divinatorie – non si potevano certo prevedere le sorti. Lei non mi conosce, dicevo pocanzi, mentre io – a seguito del Suo gentile interessamento – ho cercato di documentarmi sulla Sua persona, di capire con chi avevo a che fare, venendo così a conoscenza della cosa orribile che ha segnato la sua esistenza e per questo Le voglio qui esprimere, senza alcun infingimento e con grande sincerità, i sensi della mia vicinanza umana; apprezzo, inoltre, il suo coraggio ed i suoi sforzi nel condurre una battaglia –quella contro le mafie – che condivido profondamente: proprio per questo ho sentito il bisogno di scriverLe! non certo per ottenere un trafiletto di rettifica sui prossimi numeri del Suo settimanale – per tutelare la mia immagine e quella dei miei familiari oltre che per il ristoro degli eventuali danni economici procurati alla mia attività, ho dato già mandato al mio avvocato perché sporga formale querela nei Suoi confronti ed in quelli del Suo Direttore – ma per lanciarLe una sorta di sfida, una provocazione!

     

    Io so che Lei è un criminologo, quindi più di altri dovrebbe riconoscere negli individui quei comportamenti, quei tratti caratteriali che ne determinano le propensioni e le potenzialità criminali e allora perché non viene ad osservarmi da vicino; a conoscere la mia azienda, frutto di anni di sacrifici e di amore per il proprio lavoro, che è effettivamente un’azienda di “spicco” ma per professionalità ed eccellenza e a valutare, quindi, le drammatiche difficoltà in cui si sta barcamenando; venga a misurare la stima e l’affetto che circonda me e la mia famiglia; La invito a vedere come e dove vivo, cosa leggo, chi frequento; potrà conoscere un giovane imprenditore calabrese che sta lottando con coraggio e tenacia contro i morsi della crisi per salvare la sua azienda ed il posto di lavoro dei pochi dipendenti che abbiamo ancora in forza, mio figlio maggiore; o conversare con mia figlia, antropologa e bibliotecaria o con il mio figlio minore studente dello IED e fucina di idee in continua ebollizione. Potrà così sincerarsi direttamente e personalmente se il mio stile di vita e quello della mia famiglia ed i valori che esso sottende siano compatibili con le infamanti accuse che mi ha rivolto, oppure se, invece, si troverà di fronte ad un galantuomo, onesto, serio e di sani principi morali quale io sono stato, sono e sarò sempre. Forse uno sforzo di umiltà ed un più stretto legame con la verità, con la realtà dei fatti che andrà a raccontare nella sua carriera – che Le auguro quanto più radiosa possibile – non le farebbe male. Con l’occasione voglia ricevere i miei più cordiali saluti.

     

     


     
  • 1 commento

    1. diego ferrara

      Conosco Franco Romeo personalmente. E’ una persona integerrima, onesta e limpida. Vorrei dirgli che ha tutta la mia solidarietà e vicinanza e vorrei dire al signor Tizian che il suo è un imperdonabile abuso condito da una presupponenza fondata sul falso. Ripeto: Franco è galantuomo e la Calabria sarebbe una terra felice se tutti i suoi abitanti fossero puliti come lui.
      ing. Diego Ferrara

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