• Piana Ambiente e la crisi dei rifiuti. Il case history inglorioso di una azienda ricca di lavoro ma povera di risorse. E la politica?
    10/03/2012 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    ANCHE I RIFIUTI sono divenuti un settore che conosce crisi. Potrebbe sembrare paradossale ma purtroppo le cose stanno così. A certificare lo stato vegetativo permanente dell’azienda pubblico-privata Piana Ambiente sono i conti in perennemente rosso che la medesima sociètà non riesce a risanare da almeno da 3 anni a questa parte, mentre al capezzale di questa moribonda si cingono molti comuni aderenti al servizio che per i motivi più disparati non versano la quota per la prestazione del servizio erogato. Ma andiamo con ordine. La società Piana Ambiente S.p.A. nasce nel 2001 per l’attuazione diretta della raccolta differenziata dei rifiuti nel Sottoambito della Piana di Gioia Tauro, con due anime : una pubblica composta da 34 comuni della Piana che detengono assieme il 51% del capitale sociale, ed una privata composta da 2 entità. La prima che detiene il 24% del capitale sociale è la società ex Enia ora Iren  municipalizzata che si occupa tra l’altro di gestione e raccolta del ciclo dei rifiuti nata alla fusione tra Iride, una società che aveva riunito Aem Torino ed Amga Genova, ed Enia, una azienda pubblica nata dall’unione tra Agac Reggio Emilia, Amps Parma e Tesa Piacenza,  sempre attive nel settore dei rifiuti.

     

    La seconda la Tme S.p.A. che detiene il restante 25% del capitale, attraverso la  controllata Termomeccanica Ecologia  si occupa della costruzione e gestione di opere di ingegneria ambientale ed industriale il cui azionista di riferimento è il Gruppo Intesa spa. Visto che la società è mista, che gli azionisti di maggioranza sono pubblici, che il know-how è dei privati che hanno tutto l’interesse a far funzionare la macchina per produrre utili, che l’oggetto sociale gode d’un mercato di riferimento florido nonostante la materia trattata, non ci si spiega il flop d’una azienda a cui non solo il lavoro non dovrebbe mai mancare avendo caratteristiche strutturali tali da poter stare sul mercato, ma ovviamente anche tenuta a produrre dividendo. Cosa manca? Lo dicevamo prima, le entrate. Difatti la strozzatura si è accentuata da quando la morosità di molti Comuni da incipiente è divenuta cronica. E questo per due ordini fondamentali di motivi: il primo trova spiegazione nella seria difficoltà degli stessi Comuni a reperire i fondi attraverso l’autofinanziamento tramite la Tarsu che spessissimo, specie in passato, è stata oggetto di mancato pagamento da parte dei cittadini ed il cui recupero si è rivelato spesso difficile se non ostico anche adendo ad organismi di riscossione forzata che comunque presentano il conto del servizio e ne trattengono una parte. Ed il secondo risiede nel drastico taglio dei trasferimenti statali che ha inciso, incide ed inciderà fortemente sulle casse dei Comuni, che di conseguenza  rallentano, se non addirittura bloccano,  i pagamenti anche per servizi essenziali come questo.

     

    La via d’uscita rimane allora il fai da te verso cui parecchi Comuni molte volte ripiegano più per necessità che per volontà. Ma la soluzione risiedeva a monte. Vale a dire, se ci fosse stata una seria campagna di sensibilizzazione preparatoria circa l’importanza all’educazione della gestione dell’ambiente e del territorio, magari sin dall’età scolastica,  attraverso l’impiego della raccolta differenziata ecco che l’opera di Piana Ambiente non solo avrebbe avuto il successo sperato nella sua mission ma avrebbe dato quelle risposte che mancano agli stessi Soci- Comuni per non appesantire le loro le finanze ed addirittura alleggerire i gravami sulle tasche dei cittadini. Cosicché migliorando la qualità della vita dei cittadini avrebbe consolidato quelle opportunità di lavoro che, assieme ad una sana gestione, avrebbero mantenuto viva ed attiva una azienda importante per il comprensorio  come la quasi estinta Piana Ambente.