• Legge di stabilità, i comuni non ci stanno. Esplode la contesa, tra minacce di dimissioni di massa e ritorno ai podestà
    21/11/2012 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    COSA ANCORA SI DEBBA TAGLIARE, al bilancio già smilzo dei comuni italiani, il buon ministro Giarda avrà il suo bel da fare per spiegarlo al Parlamento. Ma par ovvio che i comuni – l’ultimo anello flebile d’una catena ormai debolissima – non sono più in grado di sopportare il gravame d’una cura dimagrante inferta sui conti a base di colpi d’ascia che rischiano di far crollare definitivamente l’ultimo baluardo di resistenza sociale anticrisi più vicino ai cittadini. Delrio, presidente dell’Anci, è stato categorico ed a proposito dell’incontro istituzionale sul tema avuto appunto col ministro Giarda ha riferito che “Il ministro si è impegnato a riportare il nostro profondo malessere al premier Monti. Abbiamo chiarito – ha continuato Delrio in una nota diramata dall’Anci – che la legge di stabilità è l’ultima occasione per rivedere quelle norme (Imu, Patto di stabilita’ e Spending review) che stanno uccidendo il comparto dei Comuni”. Ma Delrio s’è spinto oltre,  minacciando una vera e propria insurrezione dei primi cittadini d’Italia chiosando perentorio che  “se dai lavori del Senato non avremo risposte alle nostre richieste già in quella fase, il giorno 29, i sindaci decideranno per le dimissioni”.

    E come dargli torto? Dopo aver dovuto ingoiare, obtorto collo, un rospo assai indigesto, e quel che è peggio, indorare la pillola ai propri amministrati pur cercando di mantenere – ove possibile e tra mille peripezie – la medesima qualità dei servizi, ecco che ancora un volta il Governo nella redigenda legge di stabilità non solo non s’è intenzionato ad allentare la morsa stringente sui numeri – per consentire una boccata d’ossigeno ai Comuni i quali potrebbero liberare le risorse scritte in bilancio per effettuare investimenti, anche ridotti, dovendole trattenere congelate per non sforare il patto di stabilità – ma con una foga predatoria, si affretta a decurtarne ulteriormente i trasferimenti di risorse fino a spegnere ogni minima velleità di gestione dei servizi ai cittadini. La verità è che in questo modo stramazzerà l’Italia dei Comuni che fungono, seppur a corrente alternata, da ammortizzatori sociali delle istanze dei residenti non solo non potendo far fronte ai bisogni essenziali, pur fungendo da veri e propri sceriffi fiscali per conto proprio ed in parte anche per conto terzi (lo Stato), oltretutto saranno costretti a tracimare gli argini del contenimento d’un malessere sociale divenuto ormai dirompente, fino ad oltrepassare quella immaginaria linea Maginot che separa le contese, per schierarsi loro malgrado proprio con chi, anche con molta ragione si arringa, infervorato da continue privazioni, contro l’esecutivo nazionale.

    Rimane da capire se, dunque, il saggio Monti se la sentirà di fomentare il disagio sociale, turbando nuovamente i già fragili quanto instabili equilibri che lo vedono appeso a doppio filo alla sua strana maggioranza ed ai sondaggio di gradimento nazionali ed internazionali oppure vorrà, per reperire fondi, metter mano ad altre “poste di bilancio” finora solo vagamente sfiorate (ad esempio, immaginando una patrimoniale). La miccia del rischio di un corto circuito istituzionale pare accesa. Ed i sindaci, dopo aver dato tutto sentono di non aver più nulla da perdere, e serrando le fila, consegnano a Giarda una  dichiarazione di ribellione, proclamandosi pronti anche a sostenere uno scontro istituzionale. Con la promessa provocatoria che rievoca, per l’amministrazione dei Comuni, la riesumazione delle figure dei podestà. Ma sia chiaro, almeno stavolta, Mussolini non c’entra.