• La polemica sullo spostamento dell’Agenzia per i beni confiscati. Ma i problemi non si risolvono boicottando Reggio Calabria
    17/03/2012 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    LE 70 CORPOSE PAGINE della seconda relazione annuale 2011 sull’attività svolta dall’Agenzia nazionale pubblicata il 15/03 fanno risaltare l’evidente mole di lavoro che la stessa deve gestire a fronte di una situazione di criticità amministrativa abbastanza evidente. Ed impressiona il rapporto statistico composto dai 11.954 beni confiscati sinora in via definitiva alle organizzazioni criminali, nonché il risultato della gestione dell’Agenzia stessa che, al 31 dicembre 2011, corrispondono a ben 1056 aziende e 4240 beni mobili registrati. Dati senza dubbio alcuno ragguardevoli e di tutto rispetto frutto d’uno sforzo impàri derivante dalla lotta alle mafie. Ma soprattutto degno di lode è l’impegno profuso dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, se si pensa che essa è una realtà istituita per decreto “solo” il 4 febbraio 2010 poi convertito in legge il 31 marzo 2010.

     

    L’Agenzia ha una sua personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia organizzativa e contabile, posta sotto la vigilanza del Ministro dell’interno. L’organico assegnato alla struttura è un contingente pari a trenta unità di personale ed ha sede principale a Reggio Calabria, ma anche sedi secondarie a Roma, Milano e Palermo ed una di prossima apertura a Napoli. A Capo dell’Agenzia Nazionale è stato nominato, dopo il prefetto Mario Morcone, il prefetto Giuseppe Caruso già Questore di Palermo, Roma e poi prefetto nella stessa Palermo prima d’essere destinato alla guida dell’Agenzia il 16 giugno 2011. Tanto premesso, che il lavoro del prefetto sia delicato pare del tutto fuori discussione, ma quello che la relazione evidenzia come criticità oltre alla dotazione organica che risulta inadeguata è anche l’autonomia finanziaria per la gestione della struttura che il prefetto giudica irrealizzabile posto che la legge cita che si debba conseguire attingendo alla forma dell’autofinanziamento attraverso gli stessi beni confiscati. Il tutto per una forte resistenza delle procedure burocratiche che, di fatto, ne impediscono lo snello esercizio. Ancor più, se si pensa che la stessa Agenzia solo ora è in via didotazione di un vero e proprio sistema informatico, il c.d. Regio, che ne consentirà la piena gestione telematica dei beni confiscati potendone ricostruire non solo la “storia” dalla confisca al provvedimento d’assegnazione ma garantirà anche uno stretto rapporto collaborativo con le altre amministrazioni pubbliche atte a garantirne anche la trasparenza.

     

    Ma la più importante nota di criticità viene rilevata dal Direttore nella ubicazione della sede che egli reputa di difficile raggiungimento per la carenza di collegamenti ferroviari ed aerei, proponendo sollecitamente lo spostamento dell’Agenzia da Reggio a Roma motivando che lì si trovano le alte istituzioni dello Stato od in subordine, guarda caso, a Palermo a ragione del fatto che in Sicilia risiede circa il 43% dei beni soggetto a confisca. Il che implicitamente ci offre una sponda riguardo i rilievi di scarsa attenzione che i governi nazionali riservano, allora come ora, alla nostra regione sotto il profilo del diritto alla mobilità ed alle infrastrutture, di cui ci siamo spesso occupati, e tema su cui il nostro Governatore non riesce ad incidere in positivo. Ciò detto, le motivazioni addotte appaiono del tutto pretestuose fino all’ingannevole! Poiché riteniamo che il signor prefetto dottor Caruso debba anche trovare la forza, non solo di esporre puntualmente le criticità facendo passerella nelle audizioni presso le Commissioni Parlamentari, ma anche di porvi rimedio battendo i pugni sul tavolo per risolverle. Stupisce infatti l’azzardato tempismo col quale il prefetto, pur di depredare questa terra di un baluardo concreto come l’Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati, segno in netta contrapposizione allo strapotere ndranghetistico, tenti il sotterfugio mal riuscito di collocarsi presso i palazzi romani o alla meno peggio nella città che lo ha visto, da ispicese, già questore e poi prefetto. A confermare il tentativo di boicottaggio riportiamo una dichiarazione resa dallo stesso Caruso in audizione alla Commissione antimafia : “La legge stabilisce che la sede principale dell’Agenzia sia a Reggio Calabria, in base ad una scelta che è stata fatta per una ragione storica significativa e importante. Si è trattato di un momento per così dire emozionale, legato al posizionamento di un ordigno esplosivo davanti alla sede della Procura generale di Reggio Calabria”.

     

    E ancora: “Comprendo, ripeto, il momento emozionale iniziale che ha portato ad una decisione di questo tipo ma è complicato per la dirigenza mantenere ancora li la sede principale, tenuto conto dell’esiguità dell’organico e dei dati che vi ho fornito, soprattutto per quanto riguarda Palermo”. Anche su temi fondamentali per la nostra terra come questo si isureranno l’autorevolezza, l’influenza, il prestigio ma anche la ragionevole necessità per la nostra classa politica di non arretrate d’ un millimetro di fronte ad una richiesta spregiudicatamente insensata ed irricevibile come quella del direttore dell’Agenzia, il quale se non si trova bene a Reggio, lasci pure il prestigioso incarico ad altra autorità e liberi il campo a chi si voglia coinvolgere per il territorio non aspirando, come egli lascia trasparire, a dorate poltrone nei salotti romani. Poiché, come Ella ben sa, il contrasto alla criminalità organizzata attraverso l’aggressione patrimoniale e la gestione dei beni confiscati, signor prefetto Caruso, non è affatto un momento emozionale