• Così rischia di morire lo storico Roccella jazz
    08/09/2011 | Sen. Sisinio Zito | Calabria Ora

    ROCCELLA JONICA – Caro Direttore, ho letto solo qualche giorno fa, purtroppo, il bell’articolo che hai scritto sui motivi per cui le Regioni meridionali trovano difficoltà a spendere i fondi europei destinati al loro sviluppo. Mi ha colpito una coincidenza: il tuo pezzo è apparso lo stesso giorno, il 20 agosto, in cui si concludeva, di fronte ad oltre tremila persone, il Festival Jazz di Roccella. Ti chiederai: ma che cosa ha da spartire il mio articolo con il Festival e che senso ha il loro accostamento? Ti rispondo subito: il Festival è, nel suo piccolo, anch’esso un esempio dei mille meccanismi invisibili che alimentano il dualismo italiano e di conseguenza la subordinazione economica, politica e culturale del Mezzogiorno nei confronti del Centro-Nord. Contro questa subordinazione, e la copertura “ideologica” che le danno i mass media nazionali, mi sembra che tu sia partito in battaglia e io vorrei fornirti qualche altra cartuccia, sia pure di piccolo calibro. Parto da un convegno che Walter Veltroni, notoriamente grande appassionato di Jazz, tenne a Roma nel 2001, subito dopo la sua prima elezione a sindaco della Capitale. Il succo del discorso che fece in quell’occasione fu più o meno questo: a Roma è possibile ascoltare molti concerti di ottimo livello ma dobbiamo puntare ad organizzare una grande manifestazione come Umbria Jazz e (guarda un po’!) Roccella Jazz. Nessuno tra le centinaia di persone presenti – artisti, giornalisti, organizzatori musicali – rimase minimamente sorpreso di quella accoppiata. Umbria e Roccella sono infatti, secondo il giudizio comune, i prototipi, e ancora oggi i principali rappresentanti, di due diverse visioni di cosa debba essere un festival jazz: tradizionale, se vogliamo semplificare, la prima; innovativa e sperimentale la seconda. Fammi soffermare un momento su questa particolare identità di Roccella, richiamando una frase assai bella scritta alcuni anni fa da Franco Fayenz, uno dei maestri della critica musicale italiana. Fayenz ricorda che i musicisti, anche i più grandi, che partecipavano alle prime edizioni del Festival (e si riferiva a personaggi di statura mondiale come George Russell, Steve Lacy, Ornette Coleman, Carla Bley, Abdullah Ibrahim…) non si sono mai lamentati dei disagi inevitabili di quei tempi perchè “capivano che Roccella Jazz era importante, che aveva programmi originali e trasversali e che chi ci veniva (e perfino chi ci suonava) imparava ogni volta qualcosa”. Fu così che una manifestazione, nata con pochi mezzi nel povero cortile di una scuola elementare, in un piccolo paese della “famigerata” Locride, e sul cui futuro nessuno avrebbe scommesso una sola lira, è diventata a poco a poco “uno dei grandi festival che hanno fatto la storia del jazz e della musica improvvisata in Europa” (parole di Armand Meignan, direttore del festival di Le Mans). Ma riprendiamo il filo del nostro discorso. Umbria e Roccella sono diversi per impostazione culturale, ma sono soprattutto diversi sotto un altro aspetto, che è quello più importante perché da esso dipende la vita o la morte di una manifestazione. Di che cosa si tratta? Tiro in ballo anche in questo caso un convegno, organizzato anch’esso nel 2001 e da un altro sindaco, Sandro Principe, che era allora alla guida del Comune di Rende. Al convegno, dedicato ai Grandi Eventi, era presente anche un rappresentante di Umbria Jazz il quale ci informò che il loro bilancio era di sette miliardi di lire, l’ottanta per cento dei quali provenienti da sponsorizzazioni e vendite di biglietti e il resto da contributi pubblici. Dichiarai a mia volta qual’era il nostro bilancio: settecento milioni, costituito (in maniera esattamente speculare rispetto a Umbria) per l’ottanta per cento da contributi pubblici e per il venti da vendita di biglietti e da qualche piccola sponsorizzazione locale. Credo che, da allora ad oggi, queste proporzioni non siano sostanzialmente mutate e che i numeri che ho riportato meritino una qualche riflessione. La prima: la Calabria organizza un festival che regge, sotto tutti i punti di vista (qualità dell’offerta, capacità di fecondazione culturale del territorio, notorietà nazionale e internazionale ecc.) il paragone con Umbria Jazz, con una spesa però che è inferiore di ben dieci volte. Può accadere anche questo, dunque, in una regione che agli occhi dell’opinione pubblica nazionale è sinonimo di sperperi e dissipazioni senza fine. Non che questi ultimi siano estranei alla Calabria, anzi le leggiamo spesso sui giornali. Ma spesso non è uguale a sempre e trascurare la differenza tra i due avverbi significa fare d’ogni erba un fascio e abbandonare al loro destino iniziative (e ce ne sono tante) che andrebbero invece incoraggiate e aiutate se davvero si vuole cambiare la Calabria e il Mezzogiorno. La seconda riflessione riguarda il fatto che il Festival di Roccella dipende pressoché interamente dai contributi pubblici, essendo credo l’unica grande manifestazione culturale nazionale che non ha uno, dicesi uno, sponsor privato di qualche rilievo ma solo due o tre amici del posto che danno una mano quando e come possono. Che cosa significa questo stato di fatto? E’ presto detto: che il Festival, rebus sic stantibus, non ha nessun futuro, nemmeno quello più immediato. Vediamo schematicamente perché: a) i contributi pubblici non sono da soli sufficienti a coprire i costi, da oltre un decennio sono in costante diminuzione e con l’aria che tira è facile prevedere che questa tendenza non si arresterà; b) al momento in cui si fa il programma e il preventivo del Festival (a gennaio) non si ha la minima idea (con l’eccezione, in questi ultimi tre anni della Regione) se essi verranno assegnati e quale sarà il loro importo; c) Dio solo sa quando i contributi assegnati saranno poi liquidati. Il combinato disposto, come direbbe un giurista, di queste tre circostanze produce un aumento dei costi (un conto è prenotare un albergo a gennaio e saldare subito la fattura, un altro è prenotare ad agosto e pagare quando si può); il ricorso alle anticipazioni bancarie con l’accumulo di interessi su interessi e spesso il blocco dei conti; il ritardo nei pagamenti ad artisti e fornitori con conseguenti azioni giudiziarie e ulteriori spese connesse; la creazione di un forte indebitamento che si alimenta da solo, e così continuando. Insomma, senza l’apporto degli sponsor privati il miracolo (perché di questo si tratta) di mantenere in vita i “Rumori Mediterranei” assai difficilmente si potrà ripetere. E questo, devo dirlo, mi dispiace molto, sia per la Calabria (in nome della quale abbiamo lanciato questa sfida nel lontano 1981) sia per il Paese, visto il ruolo che Roccella Jazz ha esercitato sulla scena musicale italiana ed europea nel corso di tanti anni. A questo punto, però, caro Direttore, sorge una domanda: come mai una grande banca come Unicredit, un colosso della distribuzione come Conad, una multinazionale come la Kraft (caffè Hag), grandi imprese come Acea, Wind, Heineken ecc., decidono di sponsorizzare Umbria Jazz mentre non si trova nessuno, proprio nessuno, disponibile a finanziare Roccella? Forse in Calabria non ci sono sportelli bancari che fanno capo (e sono quasi tutti) ai gruppi bancari nazionali? E non ci sono supermercati della Conad e delle altre catene di distribuzione? E non si consumano anche in Calabria elettricità e gas? E non si usano i telefonini? E non si consumano bevande prodotte altrove? E non operano imprese di costruzione nazionali che vincono appalti per centinaia di milioni? Il problema non riguarda solo Roccella ma molte altre iniziative di eccellenza che si svolgono in Calabria e nel Mezzogiorno, e non riguarda solo Umbria Jazz ma la generalità delle manifestazioni di una qualche importanza che hanno sede nelle regioni del Centro-Nord e a cui non mancano (basta leggere la loro pubblicità sui giornali) gli sponsor anche più prestigiosi. Come concludere, caro Direttore, se non che siamo considerati sempre e in ogni caso, noi meridionali, figli di un dio minore. Ci dobbiamo rassegnare o trovare la forza per ribellarci ad una ingiustizia così insopportabile? Grazie della pubblicazione e cordiali saluti. Sisinio Zito Presidente associazione culturale jonica P.S.: Qualcuno potrebbe osservare, giustamente, se la situazione è quella che è una qualche responsabilità grava pure sulle istituzioni e le forze politiche, sociali e intellettuali della Calabria e del Mezzogiorno. Non c’è alcun dubbio, non si tratta di un altro capitolo, che va pure trattato, ma che non può servire da alibi per ignorare i feroci meccanismi dualistici che sono sempre all’opera.