• Soli davanti all’Europa. Mercati in picchiata, si squaglia la credibilità del governo italiano. La macelleria sociale non basta, se non si tocca il debito pubblico
    01/11/2011 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    CINQUEFRONDI – Dopo averci informato, ex post, che gli impegni presi con l’Unione Europea sono vincolanti ed ineludibili, avrebbero dovuto prima di sottoscriverli consultare quantomeno le parti sociali per portare a Bruxelles un accordo condiviso. Almeno in larga parte. Invece presi dalla frenesia del momento che non concedeva spazi alla ragione ed anzi abbracciando appieno la concitazione, s’è pensato di sottoporre, dopo varie riscritture, cancellazioni e aggiunte last minute, una missiva pregna di gravami e squilibri che impegnano il Paese sino quasi all’asfissia economica. E con tutto ciò i mercati, veri metronomi delle volontà europee, pare non abbiano gradito nella misura sperata, tanto che i nostri interessi futuri su BOT e BTP sono lievitati (e stanno lievitando) paurosamente sino alla soglia psicologica d’emergenza del 7%, dopo la quale, la letteratura ha sperimentato il disimpegno dell’interesse dei mercati per i titoli di debito pubblico emessi da un paese sovrano (leggasi Grecia e prima Portogallo e Irlanda) con inoltre lo spread (il differenziale di rendimento) tra in nostri titoli e quelli della famigerata Germania (meno remunerativi, ma dicono più solidi, e questo sarà da vedere) che infrangono la soglia del 4%, praticamente finanziariamente un’enormità. Ma allora, quali potrebbero essere le aree d’intervento su cui metter le mani per attuare le riforme? L’assunto che ci pesa come e più d’una zavorra è l’enorme debito pubblico accumulato nel corso del tempo, che non permette grossi spazi di manovra per la crescita della nostra economia atteso che siamo molto impegnati a pagare interessi e poco a creare ricchezza. Bisognerebbe partire da lì, e per farlo occorrerebbe una seria politica di diminuzione interna dei costi dell’apparato pubblico, con in testa i privilegi inaccettabili della casta politica (dai doppi incarichi, peraltro non consentiti per legge ma tollerati per prassi, agli oneri puri del singolo rappresentante di stato). Una vera razionalizzazione della spesa corrente, che non significa far mancare orizzontalmente le dotazioni ai singoli ministeri od agli enti locali ma evitare, ad esempio, consulenze esterne e duplicazioni di spesa, oppure ancora spese inutili per fini inutili se non addirittura personali (o come si direbbe, di rappresentanza). Quindi, abolizione degli enti intermedi, quali le Provincie per restituire ai singoli comuni maggiore e migliore autonomia ed efficacia nella programmazione della spesa pubblica e creazione di politiche di pieno favore all’impiego ed all’occupazione, soprattutto dei giovani, con sgravi alle assunzioni, diminuendo ove possibile il costo del lavoro, per aumentare la competitività del sistema Paese ed abolire dello scellerato disegno sui licenziamenti facili, poiché non s’è mai visto un paese che aumenta il Pil e diminuisce il debito pubblico aumentando i licenziamenti della forza lavoro!! Inoltre, revisione degli ammortizzatori sociali con l’introduzione del reddito minimo garantito (come in Francia e Germania) e soprattutto con l’attivazione di cerniere che consentano davvero a chi perde il lavoro di potersi ricollocare, attraverso la facilitazione concreta dell’incontro tra domanda e offerta. Interessarsi alla riforma strutturale delle pensioni nella misura in cui si intendesse stoppare i baby pensionamenti, specie se d’oro, e permettere a tutti d’accedere ad un sostegno post lavorativo nella misura contributiva e non già retributiva. Intensificazione della lotta alla grande piaga interna dell’evasione ed elusione fiscale, che da sola permetterebbe di rastrellare circa 10/12 mld di € all’anno, magari se meglio accompagnata da una legislazione mirata contro la corruzione che di miliardi di € ne vale circa 60/anno quanto due finanziarie di peso, (ma che ancora rimane solo un’idea vagante nei corridoi di Montecitorio). Una più equilibrata tassazione che andasse ad incidere progressivamente sulle tasche dei detentori (pochi) della ricchezza favorendo le classi più svantaggiate, con una più opportuna redistribuzione dei bisogni e dei servizi. Una indifferibile modernizzazione della macchina della giustizia che parta dalla completa e piena informatizzazione delle procedure e degli uffici giudiziari, consentendo l’accorciamento dei tempi processuali con una vera riforma che addivenga alla certezza della pena, che è in verità ciò che manca al nostro Pese per recuperare credibilità e fiducia interna ed internazionale. E quindi, aggressione ai patrimoni mafiosi con la confisca e l’utilizzo pieno dei beni e delle risorse loro sottratte, non solo per essere effettivamente restituite alla collettività (come ora non avviene, vedi Comune di Roma) ma anche per essere reimpiegate attivamente nella lotta contro la criminalità organizzata (il cui giro d’affari stimato è di circa 178 mld €/anno). Infine il rilancio della ricerca e degli apparati universitari d’eccellenza unito al pieno utilizzo dei fondi europei, per infrastrutture, trasporti e agricoltura per far ripartire gli investimenti ed i consumi. E per ultimo, ma non ultimo, una vera liberalizzazione intanto delle professioni ed un migliore impulso al settore del terziario con la sola raccomandazione del tutoraggio da parte dello Stato del mercato dei prezzi e della concorrenza sleale. Quanto sin qui enunciato non è irrealizzabile, né trattasi di processi utopistici. Più in vero, si tratterebbe di applicare una correzione alle numerose storture che fanno del nostro Bel Pese, esso stesso, un’anomalia, per certi versi pittoresca e variopinta, nel panorama socio-politico ed economico europeo e mondiale.

     

     

     


     
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