• Il “modello Reggio” di Giuseppe Scopelliti, ovvero l’arte di vivere al di sopra delle proprie possibilità
    24/10/2011 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    CINQUEFRONDI – Il modello Reggio sin dalla sua denominazione scopellitiana, ha da sempre, in un modo o nell’altro, fatto parlare di sé. Di certo con stupore, e financo ammirazione. Ora con clamore. Chiaramente però oggi più di ieri, alla luce delle vicende che sono intrise di moltissime ombre e pochi sprazzi di luce, si avverte la necessità di comprendere come sia stato realmente strutturato il modello Reggio, quali parti più di altre questo modus abbia favorito e perché queste fiumane di denaro pubblico non abbiano sortito l’effetto di risollevare l’economia d’una città bella ed importante come Reggio ma anzi al contrario il loro diverso impiego abbia letteralmente devastato le casse comunali fino a dissanguarle e lasciarle vuote e desolate come le aspettative d’una intera città. La stessa città che attònita, di colpo apprende dagli ispettori ministeriali quella verità che aleggiava un po’ da tempo e cioè che gli stessi servizi essenziali che spaziano dal trasporto pubblico passando per la raccolta dei rifiuti potrebbero esser seriamente compromessi se non addirittura a rischio di erogazione. A dire il vero, le feste ed i festini con cantanti di calibro internazionale sul lungomare Falcomatà sono stati davvero un evento straordinario per Reggio. Il dramma del giorno dopo è stato scoprire che, forse, non ce li si poteva permettere e che quei divertimenti in realtà erano o sono stati uno svago a debito. O meglio una distrazione, latu sensu. Già, poiché quegli stessi fondi, tra l’altro straordinariamente dotati dal Governo pro-tempore per il miglioramento della gestione ordinaria di alcune grandi città del Mezzogiorno (tra cui stupefacentemente in meglio, Reggio Calabria) dovevano servire per implementare i servizi, migliorare le strutture ed apportare novità rilevanti anche in tema di occupazione ed implicitamente sviluppo. Oggi ci si ritrova a dover quantificare il buco di bilancio da parte di ispettori inviati dal Ministero dell’ Economia e forse a neanche poterlo definire, visto che pare manchino persino le carte su cui effettuare i riscontri, col serio sospetto d’ aver sforato abbondantemente il patto di stabilità e col serio rischio di aver pregiudicato la gestione ordinaria del comune. Bisogna fare molta attenzione a non mistificare i fatti. Le cifre che si menzionano, riferiscono di cifre che si aggirano intorno ai 87/90 mln di €. Ma se i boatos venissero confermati, i momenti di critica non si fermerebbero certo ad un mero brusìo. Oltre poi trovare il modo di dirlo agli operai delle Omeca, agli aeroportuali dell’aeroporto Tito Minniti, agli operai della Leonia, agli studenti della Mediterranea, agli operatori dell’Atam e di Acquereggine e via dicendo, che quegli stessi fondi che potevano rilanciare queste ed altre imprese d’interesse pubblico e in difficoltà nell’area reggina invece sono stati impiegati altrove. Anche la Reggio Calabria dell’era Scopelliti, in verità forse, ha vissuto ben al disopra delle proprie possibilità in tema di piaceri ed ora inizia a pagarne il conto. Salato. E questo indipendentemente dagli esiti delle inchieste che, come comunicato direttamente per bocca dello stesso Governatore lo vedono interessato e parzialmente fiducioso. Il dato che rimane purtroppo è che, comunque vada, le casse del Comune piangono come le tasche dei cittadini e che quel che c’era ed era stato elargito per il bene comune perdurante è stato scialato, ballato e cantato effimeramente in diverse notti bianche di mezza estate. Fidando d’aver sin qui compreso che il modello Reggio, aperto ai più, ha comunque prodotto davvero dei risultati. In un modo o nell’altro.

     

     

     


     
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