• Crisi, si è chiusa la fase espansiva dell’economia italiana. Ma pur pagando un prezzo pesante, alla fine il nostro paese potrà farcela
    22/12/2011 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    IN QUESTI ULTIMI tempi ancor più intensamente mi sono interrogato, e più volte, sul tema corrente della crisi, oramai molto ricorrente nelle nostre case e nelle nostre vite, pendente sulle nostre teste e attaccato contro la nostra volontà al nostro vivere quotidiano tanto da annebbiarci i quotidiani pensieri, aumentare ancor più, se possibile, le giornaliere preoccupazioni ed infittire il mistero delle cause e delle possibili soluzioni. Orbene, mi sono risultate evidenti almeno tre cose. La prima è che, senza inutili giri di parole, il nostro paese, con grande rammarico postumo, è sopravvissuto per troppo tempo al di sopra delle proprie reali possibilità, con gravissimo pregiudizio apportato non solo e non tanto alle presenti generazioni che ora si ritrovano intrappolate in una stretta gabbia fatta di tasse e gabelle in aggiunta, ma anche e purtroppo, ipotecando di fatto un bel pezzo di futuro a quelle di qua da venire. La seconda è che siamo passati dall’essere, come nazione, incolpati di qualcosa che sebbene non abbiamo commesso, cioè dar fuoco alle polveri della crisi già nel paradossalmente lontano finire del 2007, a finire col pagare un prezzo a colpi di manovre correttive, di assestamento, aggiuntive e suppletive veramente molto alto per le tasche delle famiglie italiane.

     

    In altre parole, abbiamo dovuto prender atto che la nostra accidia ha avuto, ha ed avrà un prezzo oneroso che sarà ben duro sopportare negli anni venturi. La terza è che si è, una volta di più, conclamata la beffarda inerzia doppiopesista e doppiogiochista della nostra valente classe politica e dirigente, che dai livelli amministrativi, passando per quelli intermedi e finendo a quelli dirigenziali ha avuto chiaro ab origine e pedissequamente un solo obiettivo: assicurarsi dal boom economico degli anni sessanta in poi, quasi esclusivamente benefici e rendite di posizione e personali (in ordine sparso in tema di corruzione, concussione passando per nepotismi e baronati) , pensando sempre bene di passare il cerino infuocato delle decisioni difficili, impopolari e soggette alla cassazione del voto nelle mani di chi sarebbe venuto dopo, tanto che con perfida noncuranza, mentre la casa iniziava ad ardere con la benzina del nostro volatile quanto copioso debito pubblico, alcuni dei nostri politici continuavano imperterriti e sino alla fine a suonare l’arpa del tutto va bene o la cetra del siamo messi meglio degli altri. Allora, giunti che fummo quasi al ferale colpo, cosa ci dovevamo attendere? Ora par tardi, per coloro che non l’abbiano fatto prima, ritenersi vergin di servo encomio verso i decaduti dèspoti. Semmai ricchi di codardo oltraggio al crepuscolo del potere quando però tutto s’è finalmente conclamato in ogni rivolo d’amara verità.

     

    Con l’italico orgoglio che ci appartiene ci faremmo un buon servigio, specie in questa fase, non sentendoci vaso di coccio posto in mezzo a tanti vasi di ferro, poiché oltretutto non lo siamo. Non è felice l’idea di remarci contro con contrapposizioni filo-ideologiche capziose quanto cavillose, mortificarci oltremodo con la commiserazione di non vedere la fine del tunnel. Come non è lieta l’idea, bisogna dirlo, di spargere ora continuamente veleno e malumori contro chi, con grande fatica e non è detto aprioristicamente con le migliori soluzioni, stà comunque tentando di porre rimedio al malfatto di decenni di incrostazioni e sedimenti, ritenuto sempre salvo ed impregiudicato il sacrosanto diritto alla critica. Personalmente, è mio pieno quanto doveroso convincimento che, seppur con sforzo, vedremo la luce. Nella misura in cui sapremo però, incassare il colpo e reagire, in primo luogo riprendendoci la capacità d’avere il più opportuno e pungente spirito critico, giusto e mordentemente sagace soprattutto nel saperci dotare della classe politica migliore che possa rappresentare genuinamente e senza velature interessate ed etero e/o retro dirette l’espressione migliore della società, e che per essa possa e sappia farne le veci.

     

     

     


     
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