• L’inarrestabile mortalità delle imprese italiane. Crisi e stretta creditizia ne soffocano circa 1600 al giorno
    Da uno studio della Cgia di Mestre emerge un quadro allarmante
    31/05/2013 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    cartello fallimento chiusoCOME GIA NON BASTASSERO le angustie dettate da una drammatica contingenza planetaria la cui luce in fondo al tunnel si allontana come un miraggio, un ulteriore nuovo grido d’allarme sul credit crunch bancario è stato lanciato appena poco tempo fa da Giorgio Squinzi durante i lavori della tradizionale assemblea annuale dell’associazione degli industriali, tenutasi a Roma presso il complesso dell’Auditorium Parco della Musica, e come sempre avviene in questi casi, non lasciato presagire nulla di buono sul fronte della liquidità delle aziende italiane. Lo stato di salute della concessione di credito alle nostre imprese è abbastanza preoccupante con gli istituti di credito che hanno inteso serrare, più di quanto la congiuntura e gli andamenti della produzione interna non hanno già fatto, i cordoni delle borse sottraendo ossigeno importante all’operatività delle stesse imprese e delle famiglie.

     

    Già perché secondo un recente studio della Cgia di Mestre ogni giorno chiudono i battenti nel nostro Paese circa 1600 imprese, molte della quali potrebbero proseguire la loro attività – magari ristrutturandosi ed innovandosi per riproporsi al mercato e coglierne le migliori opportunità nel contesto internazionale – ma sono impedite dal farlo in quanto non trovano sponda negli istituti di credito. Lo stesso Squinzi a proposito è stato perentorio affermando che “lo stock dei prestiti erogati alle imprese è calato di 50 miliardi negli ultimi 18 mesi. Un taglio senza precedenti nel dopoguerra.” Eppure sono proprio le imprese il punto di partenza a cui fare riferimento per far riavviare il volano dell’economia nazionale che, in una sorta di circolo virtuoso, potrebbe ingenerare quella ricchezza e produrre quell’occupazione di cui si avverte tanto il bisogno. E questa almeno parrebbe la strada che il neo premier Letta sarebbe intenzionato a percorrere stando alle dichiarazioni programmatiche con le quali ha chiesto ed ottenuto la fiducia parlamentare e che hanno posto al centro dell’azione di governo misure urgenti per la crescita e per l’occupazione, soprattutto giovanile, su cui anche il presidente della Bce Mario Draghi si è recentemente soffermato dichiarando senza messe misure che “l’alto tasso di disoccupazione giovanile è una minaccia per la stabilità sociale.

     

    ”Eppure di iniezioni di liquidità nel sistema bancario europeo la Bce ne fatte parecchie, come ha avuto modo di riconoscere lo stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, riportando come negli ultimi 3 anni siano stati oltre 1000 i miliardi trasfusi in rete che hanno consentito di arginare cadute più rovinose ad imprese e famiglie. Dichiarazioni che un po’ stridono con l’andamento generale della produzione industriale italiana che – stando alle certificazioni dell’Istat – continua a diminuire, rilevando nel trimestre gennaio-marzo 2013 un calo del 5,2 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con una escalation da brividi che ha fatto registrare il primato ben poco invidiabile del diciannovesimo ribasso consecutivo in termini tendenziali. Pur vero è che bisogna riconoscere che l’aumento della prudenzialità nelle erogazioni bancarie si è innescato alla proporzionale diminuzione della raccolta interna ed al conseguente aumento degli incagli e delle sofferenze che ne hanno minato la fluidità ed inciso – con non poche preoccupazioni – sui bilanci e la loro stessa tenuta in termini di stabilità secondo i dettati delle “tagliole” di Basilea2 e Basilea3.