CINQUEFRONDI – Ed ecco affacciarsi il Monti primo. In verità il secondo governo d’estrazione tecnica nella storia repubblicana, dopo quello Dini, ma entrambi con il comun denominatore di succedere sempre ad uno con predecessore Berlusconi. Il fato. Oppure e meglio una palingenesi. In queste ore dopo che il governo Monti viene varato ottenendo ampliamente fiducia da Camera e Senato, ciascuno strepita e corre a tiragli la giacchetta e pressoché impettirsi l’orgoglio d’aver contribuito alla sua nascita , non scevro però di dispensare i migliori consigli ed anche velatamente le prime timide avvisaglie di ciò che esso debba o no fare sempre per il bene dell’italico popolo, s’intende. Dunque, una riflessione. Come è possibile pretender gloria per meriti altrui, se chi ha mal governato in tanti anni senza produrre quei risultati tanto prospettati, peraltro millantando credito nei confronti degli esasperati elettori, ora addirittura non avverte almeno pudore quando afferma che le dimissioni sono state un atto di pura generosità e benevolenza? Certo tecnicamente è possibile sia vero. Sbadatamente si dimentica di asserire però che il male risiedeva nella causa medesima. E questo è oramai storicamente acquisito. Al di là dei buoni intenti, fatte salve le mal intenzioni (mal)celate, in questa fase oltre che conferire la fiducia null’altro s’abbia a pretendere da questo novello esecutivo, specie da chi trasversalmente non ha saputo e voluto migliorare fattivamente la vita dei cittadini. E’ vero, il Parlamento è stato commissariato da un (ex)commissario voluto dall’Europa e confermato dal Presidente della Repubblica, ma ciò sia visto, in questa fase emergenziale, solo come un bene od il minore dei mali a fronte della conclamata capacità della politica nostrana a non dare risposte ed esser perennemente contrapposta ed indecisa. Poiché anche quelle poche scelte che si sono adottate non hanno avuto certo il retrogusto buono così persistente da lasciare a tutti un amabile sapore di gradimento. Non sappiamo se Monti avrà le forze e le capacità politiche per riuscire. Se lo si lascerà lavorare con l’impegno e la necessaria serenità che il caso richiede forse non è improbabile ch’egli possa traghettare questa fallimentare classe politica dall’attuale certa disaffezione della gente alla restituzione della dignità ch’essa merita, quantomeno facendola attraversare con bagno d’umiltà nel purgatorio dei mea culpa. Se si è reso necessario un cambio di passo alla guida di una delle più importanti istituzioni quale atto dovuto, sarebbe opportuno ora ritornare alla genuina ed originaria visone della politica quale servizio, disponibilità a favorire le proprie capacità per il conseguimento del bene comune (e non del proprio, o dei propri sodali, come avvenuto da sì troppo tempo). Detto questo, appare un ragionamento tendenziosamente capzioso quello di chi per posizioni preconcette fa pollice verso solo per rivendicare il piacere di contrapporsi. Parrebbe più giusto dopo le rovine provocate da tanti anni di sfacelo provare a ricostruire partendo da questo governo e con i prossimi che verranno, puntando a ciò che unisce, mettendo a contributo morale ed intellettuale quello che ciascuno può, per cercare di realizzare un futuro migliore e più giusto, più equo, più solidale, più prospero per poter porre le basi, pur sempre nel rispetto delle reciproche visioni politiche che sebbene talvolta dissimili nella forma possano ritrovarsi coese nella sostanza, ad una società sana nel benessere, vigorosa nella legalità e dignitosamente realizzata nel lavoro ad ogni ambito. Almeno ci si adoperi con ogni sforzo di buona volontà ed in tutti i modi a non sprecare questa ulteriore concessa possibilità. Dacché all’orizzonte, in concreto, non se ne vedono poi così tante.