• Socialmente utili. “Anime salve” in cerca di una nuova occasione. Storie di “migranti” nello speciale de “Il Dispaccio”
    12/02/2015 | Valeria Guarniera | www.ildispaccio.it

    (Il Dispaccio 11/02/2015) – ARRIVANO COSI’, stremati dal viaggio, dopo aver affidato al mare la loro vita. Con la pelle bruciata dal sole o consumata dalle intemperie. Con il sale marino a delineare i contorni del viso. E con quello sguardo carico di aspettative, appesantito dalla stanchezza. Difficile da sostenere. E da decifrare. Rinchiusi in una categoria – i migranti – all’apparenza tutti uguali. Sono i numeri di Mare Nostrum snocciolati, qualche mese fa, dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano: “558 interventi, 100.250 persone soccorse, 728 scafisti arrestati, 6 navi sequestrate, soccorse oltre centomila persone e decine e decine di migliaia salvati. 499 morti durante le operazioni, 1.446 presunti dispersi”. Sono i soldi spesi – “Per l’operazione della Marina militare l’Italia ha speso in un anno 114 milioni di euro, 9,5 milioni al mese” – e quelli risparmiati: “La nuova operazione di pattugliamento delle frontiere, Triton, costerà 3 milioni di euro al mese e sarà pagata da Frontex, quindi all’Italia costerà zero euro”. E sono l’orrore dell’ultima tragedia al largo di Lampedusa, un paio di giorni fa: 29 anime in cerca di salvezza. Giovani, tra i 18 e i 25 anni, provenienti dalla Libia, morti per assideramento.

     

    “I 366 morti di Lampedusa – ha denunciato il sindaco lampedusano Giusy Nicolini – non sono serviti a niente, le parole del Papa non sono servite a niente, siamo tornati a prima di Mare Nostrum. È la realtà. Questa nuova strage è la prova che Triton non è Mare Nostrum. Siamo tornati indietro”. socialmenteutili11febbisViaggi della speranza. L’ultimo sbarco nel porto di Reggio Calabria, in ordine di tempo, risale allo scorso 18 gennaio: 417 immigrati trasportati dalla nave Sirio della Marina militare. Si trattava, in particolare, di 104 uomini e 2 donne provenienti dal Gambia, 171 uomini e 2 donne dal Mali, 90 uomini dal Senegal, 23 uomini dalla Guinea e altri 24 dalla Costa d’Avorio e dalle regioni del Sud Africa. Tra di essi anche un immigrato che è deceduto. Un copione che si ripete: Fuggiti dalle guerre civili dei loro paesi, dalla fame e dalla disperazione, sopravvissuti ad un lungo e pericoloso viaggio per mettersi nelle mani sporche di sangue degli scafisti, unica tragica speranza per loro: migliaia di euro per pagare un viaggio che per qualcuno terminerà con la morte, prima ancora di toccare la terra ferma, su imbarcazioni fatiscenti, appesantite da un numero eccessivo di migranti: corpi animati, attaccati l’uno all’altro, in balia del mare e della buona sorte.

     

    Reggio, in questa strana estate dalle temperature atipiche, ne ha accolti più di otto mila. E continua a farlo, in questo inverno colorato di neve e sole. Le operazioni di prima accoglienza, ormai perfettamente collaudate, ce le spiega Enzo Calarco, responsabile della Protezione Civile provinciale: “Appena arriva la comunicazione di uno sbarco la Prefettura convoca una riunione a cui partecipano rappresentanti del Comune, della Provincia, delle forze dell’ordine; Capitaneria, Azienda ospedaliera, Suem 118, Protezione Civile, associazioni di volontariato e Croce Rossa. Qualche ora prima dello sbarco iniziamo i lavori di allestimento per dar loro la prima accoglienza. I primi controlli sanitari – spiega – avvengono a bordo. Il nostro primo intervento è al porto: si comunicano numeri, generalità, condizioni di salute ed eventuali criticità. E, mentre la macchina dell’accoglienza è pienamente operativa, dalla Prefettura iniziano a smistare i migranti nei vari centri di accoglienza del territorio nazionale. Lo devo dire: senza l’aiuto dei volontari non ce la potremmo fare. Soprattutto quest’estate – ricorda Calarco – nel pieno dell’emergenza il loro aiuto è stato fondamentale. Hanno regalato ai migranti quel calore umano e quella vicinanza sincera che le Istituzioni difficilmente possono dare. Tra quelli che arrivano, per molti l’Italia è solo una via di passaggio, una tappa obbligata di quel percorso che – almeno nei sogni e nelle aspettative – li dovrebbe portare a raggiungere altre mete, spesso il nord Europa. Altri decidono di fermarsi in Italia per richiedere asilo politico e vengono ospitati nei centri di seconda accoglienza”

     

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