• Parlamento ingovernabile, conseguenza della legge elettorale. Alla democrazia serve il confronto, al paese un governo
    28/02/2013 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    LE URNE SI SONO CHIUSE e implacabilmente i verdetti degli elettori si sono manifestati in tutta la loro impetuosa evidenza. Nessuno si poteva aspettare che il risultato restituito dalla consultazione elettorale potesse essere, allo stesso tempo, così dirompente e frastagliato. La forza d’urto che ha stravolto gli schemi della consuetudinaria politica italiana si chiama inesorabilmente Movimento 5 Stelle, che com’è noto ha fatto il botto in molte regioni strappando il primato ai partiti tradizionali che si sono ritrovati depredati da destra a sinistra passando per il centro, nel complesso, di circa 16 milioni di consensi. Un ricco bottino di voti e parlamentari, non c’è che dire, per il partito della protesta. Ma paradossalmente i problemi, più che le soluzioni, sorgono il giorno dopo. La immutata legge elettorale, da tutti definita pessima, tale è rimasta anche nelle voglie dei suoi possibili manovali politici che avrebbero potuto, se solo avessero voluto, metterci le mani per modificarla e renderla più vicina – in primis – alle esigenze dell’elettorato. Elettorato, che inevitabilmente costretto a votare dei simboli secondo una precostituita scala di candidati ai valori del battesimo elettorale architettata esclusivamente per mascherare le nomine capricciose dei capipartito, ha puntato tutto sulla propaganda della disapprovazione adiacente alla rottura degli schemi. Così è stato. Senza se e senza ma.

     

    E senza tanto il bisogno d’arrovellarsi troppo, ha consegnato le attuali sorti politiche dell’Italia ad una realtà introspettiva e misteriosa chiamata ingovernabilità che potrebbe sfociare in un esecrabile quanto infausta instabilità. Adesso la palla ritornerà nel campo di Napolitano il quale, prima ancora di poter disporre di un eventuale nuovo scioglimento delle camere o di una sola d’esse per constatata impraticabilità a governare, preso atto che il suo mandato non solo è a termine ma ricade peraltro nel semestre bianco, dovrà giocarsela di fino. Intanto dovrà arrabattarsi con ciò che politicamente ha – e per ora non è molto – viste le continue dichiarazioni di belligeranza lanciate a strali dal leader degli attivisti a 5 stelle che di alleanze e collaborazioni non vuol sentir parlare, neanche sulla scorta della collaudata esperienza siciliana, targata Crocetta. Ma, sia chiaro, compassate prove di forza muscolare e di stallo non giovano né gioveranno al Paese. Né sotto il profilo politico, tantomeno sotto il profilo sociale. E viste le risultanze elettorali, le ingessate procedure istituzionali, e gli angusti spazi di manovra, una quadra la si dovrà per forza trovare. Ne và dell’imminente bene dell’interesse nazionale. Ma a voler dire tutta le verità, forse in questa misura e con queste proporzioni, rovesciare il tavolo con il solo strumento della protesta non frutterà pienamente il consenso dell’elettorato ai promotori. Anche di quello più intransigente e reazionario, che, obtorto collo, prima o poi dovrà scendere a patti con la democrazia applicata. Perché l’azzardo di paralizzare le istituzioni appare quale responsabilità sproporzionata allo stesso consenso elettorale incassato ed intercettato a colpi di rinnovamento a promozione.

     

    A patto che il rinnovamento lo si permetta fors’anche a tempo, per punti prestabiliti e per le riforme più necessarie. Perché arroccarsi su preconcetti dogmatici, a ridosso di un bisogno urgentissimo di governo e d’una domanda di gestione della cosa pubblica che non lascia spazia a populismi, non giustifica lo sfoderare il proprio personale extra omnes mutuato da novello caudillo. Le prime avvisaglie dei rigurgiti da rifiuto al dialogo sono avvertibili già in endogeno dagli stessi attivisti. E, al di là della solita guerra dei numeri, potrebbe non trattarsi solo d’una sensazione, se non già l’esordio del confronto vero. Certo è che non si avverte il bisogno d’una nuova era di panem et circenses, anche sotto mentite spoglie.