• Irpef record in Calabria. Anche il morbo della malasanità finanziaria contamina e travolge i redditi dei contribuenti
    26/04/2013 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    LA CALABRIA FINALMENTE RAGGIUNGE UN PRIMATO. Ovviamente desolante, si intende. E con buona pace degli analisti, si fa presto a dire Irpef. Uno studio della CGIA di Mestre ha recentemente evidenziato come i contribuenti calabresi siano i tenutari del record assoluto – ed invero, assai poco invidiabile – in tema di strapazzamento da Irpef, siano essi contribuenti da lavoro dipendente o pensionati. Tutta colpa delle disastrate finanze sanitarie che incidono onerosamente sugli incrementi delle aliquote. La ricerca ha scandagliato l’oblazione fiscale di quattro tipologie di soggetti : un pensionato a 1.000 euro mensili, un operaio a busta paga di 1.200, un impiegato con un netto mensile di 2.000 ed un quadro con uno stipendio netto da 3.000. Ebbene, in ogni caso esaminato, i contribuenti calabresi staccano gli antagonisti delle altre regioni attestandosi al primo posto per conferimento.

     

    Per il pensionato calabrese le addizionali Irpef ammontano nel 2013 a 449 euro (+135 euro rispetto al 2010); l’operaio sopporta un carico di addizionali che in Calabria raggiunge quest’anno un importo annuo pari a 562 euro (+168 euro rispetto al 2010); per l’impiegato il peso fiscale delle addizionali Irpef supera la soglia dei mille euro, arrivando in Calabria a certificare la cifra di 1.020 euro (+305 euro che nel 2010). E non và certo meglio ai quadri: chi ha la fortuna di esserlo in Calabria deve sborsare ben 1.668 euro (+500 euro rispetto al 2010). Tutta colpa del fallimento della sciagurata mala gestione del comparto sanitario che nel corso del tempo – e nel susseguirsi delle giunte – ha accumulato un debito enorme da far digerire alle non certo pingui finanze regionali. Come si diceva prima, le regioni in disavanzo sanitario sono state forzate ad incrementare l’aliquota base, pari allo 0,9% sino al 2010, di 0,5 punti percentuali, raggiungendo così quota 1,4%.

     

    E come non bastasse, a partire dal 2010 quelle con deficit sanitario non in linea con i piani di rientro sono state costrette ad accrescere ulteriormente l’aliquota di altri 0,3 punti percentuali, arrivando in cima alla vetta dell’ 1,7%. A sancire la randellata finale ci ha pensato di suo il decreto “Salva Italia” deliberato dal governo dei tecnici che ha disposto l’innalzamento dell’aliquota base dallo 0,9% all’ 1,23%, con conseguenze a cascata sulle regioni in disavanzo sanitario che hanno dovuto adeguare l’aliquota all’1,73% e, per quelle in difetto rispetto ai piani di rientro, Il ribilanciamento ha certificato il valore massimo di 2,03%. Alla Calabria essere nella scia delle regioni a disavanzo elevato ed in difetto coi piani di rientro certamente non ha giovato, essendo stata costretta al pari di Campania e Molise allo storico record.

     

    E le considerazioni che se ne ricavano sono ugualmente infelici. Intanto perché certificano che il gravame della contribuzione rimane ben appoggiata sulle spalle – ma sarebbe meglio dire sulle tasche – “certe” di dipendenti e pensionati. Poi perché ciò comporta un innalzamento penalizzante dell’asticella del costo del lavoro che già stenta di suo ad attecchire nella desolante realtà calabrese. Ed infine perché ciò significa impallinare i redditi e la capacità di spesa di queste vessate categorie – che rappresentano poi lo zoccolo duro di una classe di consumatori che non è esagerato definire impoveriti – a cui non si può poi certamente rivolgere per aumentare i consumi e rivitalizzare l’economia a disparità di reddito.