• Cosa si nasconde dietro l’abolizione dell’Imu. L’eterno conflitto (ìmpari) del ricco contro il povero
    30/04/2013 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    E’ DIVENUTO ORMAI un tormentone insopportabile ed è finito, quale determinante ago della bilancia, nelle linee programmatiche del nuovo governo Letta tanto da surclassare lo spread. Ma l’Imu è davvero la priorità degli italiani? Un approfondimento della testata IBT svela i retroscena più paradossali legati a questo refrain. Anche perché rischia di essere – per gli ignari italiani – l’ ennesima presa per il naso. Già perché come la definisce IBT, tutto si ridurrà ad una lotta del ricco contro il povero. Una famiglia italiana su due, infatti, non paga l’Imu o perché in affitto oppure in quanto sono gli stessi parametri di detrazione che ne consentono l’ abbattimento fino all’azzeramento. Giova sapere che ciò che compone ben metà del gettito dell’imposta viene corrisposto dal 30% più facoltoso della popolazione e la sua abolizione produrrebbe l’immediato effetto di far risparmiare soldi ai contribuenti più ricchi e contestualmente provocherebbe un buco di bilancio nelle casse statali che andrebbe dai 4 miliardi (per la sola abolizione) fino agli 8 (se si volesse contemplare anche la bizzarra idea di voler pure restituire quanto pagato per l’anno precedente); proventi che risultano – ora più che mai – di difficile reperimento.

     

    Il che tradotto vorrebbe dire due sole cose : o innalzamento delle tasse (che provocherebbe un incontenibile ulteriore stress fiscale su tutti i redditi, soprattutto quelli più bassi) oppure percorrere la strada tortuosa del taglio delle spese. Alzare ancora l’asticella della pressione fiscale su famiglie ed imprese è non solo inopportuno ma anche impraticabile visti i crolli dei consumi e lo strozzamento del tessuto produttivo ed imprenditoriale e per ciò che concerne spese e sprechi si dovrebbe tentar di fare meglio di Enrico Bondi e la sua spending review. Ma la favola dell’Imu che diverte i politici e illude i cittadini non pare essere il vero tema caldo su cui intervenire, proprio per i motivi chiariti prima. Piuttosto il vero rovello dei neogovernanti dovrebbe essere diminuire la pressione fiscale sui redditi delle famiglie e allentare la morsa contributiva sugli imprenditori da cui attendersi l’ accrescimento della base produttiva attraverso nuovi investimenti che dovrebbero ingenerare un circuito virtuoso di creazione di nuovi posti di lavoro. Ma qui scatta la provocazione: “ Perché invece di tagliare l’Imu sulla prima casa, non si taglia quella sull’industria e sul commercio? Perché non si amplia la platea di esenti aumentando invece l’Imu ai possessori di seconde, terze, quarte… case, che magari tengono lì, sfitte, a prendere la polvere dieci mesi l’anno?”. L’ipotesi è che la causa del fomentato malcontento risieda tutta nella modalità di corresponsione del tributo, che è pagato direttamente dal contribuente. Se fosse versato indirettamente come per Irpef ed Irap, forse non ci accorgerebbe nemmeno del dovuto e tutto questo ciarlare a vanvera, cesserebbe.

     

    L’analisi riferisce che ridurre le tasse sul lavoro e sui consumi avrebbe molto più senso che abolire l’Imu sulla prima casa ma, analogamente, è certo che il riscontro che se ne ricaverebbe in termini mediatici e populistici sarebbe decisamente più affievolito per i politici che invece ne hanno fatto nel corso del tempo una mera battaglia ideologica irrinunciabile per i propri inesperti elettori a cui si preferisce propinare una verità di parte piuttosto che determinare – per tutti i cittadini dello Stato – un beneficio concreto e collettivo. Alla fine la verità è che si stà tentando di spacciare per universale una battaglia faziosa e tendenzialmente sperequata verso i più abbienti i cui indubbi vantaggi travalicano, ancora una volta, le misere pretese delle classi più indigenti. D’altronde, per il virtuosismo contagioso della spending review l’abolizione dell’Imu annuale consentirebbe, tanto per dire, al solo Berlusconi di risparmiare ben 3 giorni di alimenti da corrispondere a Veronica Lario. E con questa magra, non è poco.