• Come il patrimonio storico viene messo all’angolo e abbandonato. Lo strano caso dei Bronzi e del Museo della Magna Grecia
    29/07/2013 | Filippo Mammì | Edicola di Pinuccio

    REGGIO CALABRIA – Qualche settimana fa, su Facebook, una mia ex collega di Roma aveva postato un articolo di Dagospia che, con il suo consueto stile, affrontava l’argomento, o meglio la vergogna, sull’affaire Bronzi di Riace. Molto intelligentemente, la mia collega capitolina reputava la faccenda dei bronzi grave per l’Italia intera e non unicamente per Reggio, confermando le immani carenze in cui versano i beni culturali nostrani e la manutenzione degli stessi, basti pensare all’ultimatum dell’Unesco riguardo Pompei o il recente ritrovamento a Monasterace del più grande mosaico della Magna Grecia, venuto alla luce solo grazie agli sforzi di un’equipe di studenti, coordinati unicamente dalla Sovrintendenza e dal Comune, mentre chi dovrebbe spronare alla cura ed alla ricerca del patrimonio storico – artistico latita o è addirittura invisibile.

     

    Il caso dei Bronzi è chiaro: essi devono, ancora per un anno forse, sonnecchiare nel laboratorio di restauro allestito all’interno di Palazzo Campanella, mentre il Museo di Reggio, a lavori quasi ultimati, è al centro, da mesi, di una diatriba tra istituzioni e sovrintendenza che ha allungato i tempi ed i costi (oltre 33 milioni di euro). Un mese fa, essendo alla Regione per un servizio, non riuscendo a ritrovare l’uscita principale perché non conosco la sede, sono uscito proprio dal laboratorio (e non sapevo neppure che lo fosse) deserto perché era orario di chiusura; una responsabile, cortesemente, mi fece guadagnare la strada da lì e, mentre attraversavo la sala, vidi i Bronzi serenamente sdraiati sui tavoli di restauro. La luce del tardo pomeriggio filtrava dalle grandi vetrate, investendo i due guerrieri che sembravano brillare di luce propria nel silenzio dell’ambiente; ero emozionato, per la prima volta vedevo i Bronzi senza nessuno attorno, a contemplarli come fossero un’attrazione solo per me, ma avvertivo una gran tristezza a pensare a quella sommaria sistemazione cui sono relegati dal 2009, e non è certo l’anno scorso.

     

    Causa la permanenza alla Regione, si è assottigliato sempre più il numero di turisti che, appena messo piede a Reggio, per prima cosa vogliono vedere le due statue; che è poi il più grande desiderio di chi visita la città dello Stretto per la prima volta, ma da cinque anni molti ci rinunciano, fiaccati dalla scarsa conoscenza delle strade cittadine e dalla prospettiva di doversi inerpicare lungo la salita di via Portanova per riuscire ad intravederli in mezzo a macchinari e sonde, nonostante che l’associazione SosBeniculturali abbia da un mese istituito un servizio bus allo scopo di portare avanti e indietro i visitatori da Palazzo Campanella. Dico subito che non sono contrario ai frequenti lavori di restauro sui guerrieri: già negli anni novanta hanno dovuto subire un accurato intervento di pulitura interna, come credo stia succedendo anche adesso, poiché nelle due statue è forte il rischio di formazioni interne di patine corrosive dovute alla terra rimasta dentro dopo la loro modellazione (gli antichi greci creavano prima un modello in creta o altro materiale e ci lasciavano colare sopra il bronzo fuso che poi, asciugandosi, prendeva la sua forma definitiva per gli ultimi ritocchi).

     

    I lunghi tempi di permanenza, anche vent’anni fa, hanno sempre lasciato con l’amaro in bocca studiosi e appassionati, ma in parte, quindi, sono giustificati: se vogliano conservare le più preziose testimonianze di un’epoca gloriosa che affonda le radici nel mito dobbiamo compiere questo sforzo. Il problema è che, tecnicamente, quest’ultimo intervento è ormai finito o sembra addirittura una scusa: i Bronzi stanno “dormendo” in attesa di essere finalmente riportati a casa, al Museo, dove sicuramente i turisti aumenteranno vertiginosamente. Ma per ora, l’ipotesi è lontana; come degli scarti di magazzino, i guerrieri attendono, non più per una battaglia, ma semplicemente per una “anabasi”, un ritorno: quello di Senofonte durò un anno, dall’Assiria alla Grecia, quello dei Bronzi, da Palazzo Campanella al Museo, persiste da cinque anni. E poi saremmo noi i moderni!


     
  • Lascia un Commento

    L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    *