• C’era un ragazzino che voleva essere John Lennon…a 20 anni dalla morte di Kurt Cobain cosa resta del ricordo dei Nirvana nel panorama musicale

    kurt_cobain_nirvanaUN ALTRO ANNIVERSARIO, UN ALTRO ARTISTA DA COMMEMORARE, un altro articolo da scrivere. Lo scorso 5 aprile sono stati ricordati i vent’anni dal suicidio (?) di Kurt Cobain, storico leader del gruppo grunge Nirvana, che aveva voluto lasciare bruscamente la nostra dimensione nel 1994. Suicidio che, in una specie di noblesse oblige esclusiva per cantanti e attori, non viene ovviamente accettato come tale dai fans più sfegatati, più propensi ad accogliere le solite teorie complottiste, magari accusando la vedova Cobain, la cantante strafattona Courtney Love, di averlo volutamente ucciso per invidia, per denaro oppure perché quel giorno si era alzata male. Mi fermo qui, non voglio rientrare nella schiera di persone (troppe) che considerano i Nirvana solo per lo “spirito adolescenziale” di Kurt (teen spirit) o per la sua fama (tutta costruita) di “bello e dannato” che ha finito per sfuggirgli di mano. E neppure voglio giudicare superficialmente i Nirvana.

     

    La band del povero Cobain, anche se molta acqua è passata sotto i ponti, ha avuto la sua importanza nel panorama musicale dei primi anni Novanta; è stata rappresentante di un genere, il grunge, fine a se stesso, che non fu mai il punto di partenza per nessun’altro gruppo futuro, come invece era capitato ai grandi rockers tra gli anni Sessanta e Settanta. Semmai, i Nirvana hanno influito nel mercato discografico, sono stati un vero esempio su come è possibile creare e promuovere una band basandosi più sull’elemento spettacolare che sulla reale consistenza musicale: i suoi componenti avevano tutte le carte in regola per sfondare, rock duro, maledettismo d’accatto (droga e fisime esistenziali) ed un cantante/chitarrista perfetto per dare un volto a tutto questo. Quale ragazzina appassionata di metal pesante non ha mai sognato su quegli azzurrissimi occhi, un po’ tristi un po’ vacui, che Kurt sfoderava, anche a sproposito, in tante fotografie apparse sulle riviste specializzate? Il povero Kurt, lo dico subito, era un ottimo sperimentatore, aveva creato una sua musica mentale che non poteva né essere riprodotta e neppure reinterpretata senza di lui (e per questo il grunge si è esaurito subito dopo la sua morte), era anche un grande improvvisatore che aveva fatto di necessità tante virtù (non sapeva né leggere né scrivere la musica, andava a orecchio ed era ambidestro).

     

    Da buon americano, però, Cobain sapeva benissimo che nello spettacolo contano solo l’apparire e la pubblicità e, conscio di essere un bel ragazzo oltre che un chitarrista, giocava con questa maschera di angelo caduto, di Orfeo finito con la cetra negli inferi dell’Heavy metal. Questo chiedevano i fans e lui glielo offriva con solerzia. La sua fragilità e le sue insicurezze hanno poi fatto il resto; sempre più schiavo della droga e ormai terrorizzato dall’idea che le sue canzoni non fossero comprese appieno o addirittura confuse con il mero successo commerciale, Kurt preferì tagliarsi le ali da solo e fuggire via, lasciando stuoli di ammiratori in lacrime (lacrime di coccodrillo, perchè le vendite dei quattro album dei Nirvana balzarono immediatamente alle stelle). Anche la droga poteva essere un’altra maschera per esprimersi, dopotutto quale cantante o band non ne hanno fatto uso dai Sessanta in poi (i Beatles si rollavano le canne nei bagni di Buckingham Palace, il protagonista della bellissima Mr. Tambourine man di Bob Dylan è forse uno spacciatore, i Rolling Stones non hanno mai fatto mistero sul loro uso di stupefacenti ed è anche un miracolo che il chitarrista Keith Richards sia ancora vivo, mentre Syd Barret dei Pink Floyd andò fuori di cervello a causa dell’abuso di Lsd) ma, nel caso di Kurt, gli stupefacenti si trasformarono in una croce troppo pesante da portare ed ormai saldamente ancorata alla sua stessa personalità, tanto da influenzare il suo stesso stile musicale, che poteva essere ispirante quanto si voleva, ma che ha finito per rovinarne la creatività.

     

    Ma il grunge era davvero un genere creativo? Domanda alla quale nessuno ha saputo dare una risposta definitiva. Secondo alcuni, “grunge” era solo un nome fittizio per indicare quelle serie di band che si formavano nell’ambiente musicale di Seattle (come appunto i Nirvana) senza avere un disegno preciso sulla strada da intraprendere ed infatti, nella miriade di gruppi, solo Kurt e compagni sono effettivamente riusciti ad emergere. Secondo altri, il grunge era un’accozzaglia di decerebrati che cercavano di sfondare mescolando, con risultati penosi, generi musicali distanti tra loro anni luce. Per qualcun altro, il grunge ha rovinato irrimediabilmente il metal, l’hard rock ed il rock in genere provando a mettere insieme gli assoli rabbiosi delle chitarre elettroniche con melodie cantilenanti da bimbi minchia (anche se allora non esisteva tale termine). A tal proposito, vi è una scena significativa nel bel film The Wrestler di Darren Aronofsky (2009): Mickey Rourke e Marisa Tomei si divertono in un bar a ricordare il grande rock metal degli anni Ottanta elencando gruppi e canzoni significative. Ad un certo punto, il buon vecchio Mickey nomina i Nirvana e sostiene che essi hanno rovinato completamente il rock duro; addirittura, inveisce contro Kurt Cobain definendolo “un frocetto”. E’ una dimostrazione di quanto il grunge sia stato, e sia tuttora, una pietra angolare della musica contemporanea. Per me, i Nirvana sono stati un grande momento di sperimentazione delle note; non volevano influire sul rock degli anni a venire, ma provavano ad assimilare ed esprimere gli umori della cosiddetta “Generazione X” quei ragazzini, nati tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, che non sentivano più il rock n roll come un percorso verso una cultura alternativa, come i loro genitori, ma avvertivano il bisogno di urlare il proprio disagio esistenziale, quando c’era. E di urla, il caro Kurt ne ha fatte sentire parecchie. Se poi ha attratto più i bimbi minchia che i veri appassionati, non si potrà mai accertare pienamente.

     

    Delle sue canzoni, io amo in assoluto Heart Shaped Box, contenuta nell’album In Utero (1993), che è sì una delle canzoni più celebrate dei Nirvana, ma non viene adeguatamente ricordata come invece Smells like Teen Spirit (ah, lo sapevate che il “teen spirit” non era chissà quale stato mentale verso l’assoluto, ma semplicemente la marca di un deodorante? Ahi ahi, la suggestione…): un testo carico di tensione emotiva e musicale, tra bassi e grida disperate delle chitarre in un tripudio di riferimenti psicanalitici e sessuali. Qualcosa che si avvicina ai sogni, secondo me. Il mito dei Nirvana è iniziato dopo, quando la morte di Kurt ha suggellato con un tocco di eternità la fine della band e l’inizio della leggenda; mi ricordo, a 15 – 16 anni, che bastava sfoggiare una maglietta a tema del gruppo per essere considerato automaticamente “trasgressivo”, “fuori dalle regole”, anche se non avevi mai ascoltato una loro canzone, anche se ti urtava l’immancabile paragone tra il bel faccino di Kurt ed il tuo brufoloso. Ma in fondo, questa era la sostanza dei Nirvana: la contraddizione, figlia di quella cultura americana nata per derivazione, che tenta un equilibrio tra generi diversi, stili differenti o persino culture imparagonabili. Nel caso di Cobain, c’è stato un ragazzino che voleva essere John Lennon con la cattiveria di Ozzy Osbourne, cantando Across the Universe attraverso la crudeltà di Paranoid. Ed i risultati sono stati discontinui: gli inizi folgoranti, con quel magico equilibrio tra la rabbia della musica e la poesia del testo, ma ben presto quello stile fu rapidamente inglobato dall’industria discografica che corre sempre veloce, più in fretta persino del bruciare rapidamente (come scrisse Kurt nell’ultima lettera prima dell’atto finale, citando una canzone di Neil Young) e che stava per riportarlo all’ovile della musica più orecchiabile e commerciale.

     

    Non si saprà mai cosa sarebbero potuti diventare i Nirvana se avessero proseguito nel loro stile o se fossero cambiati: vero è che, poco prima di morire, Kurt aveva iniziato a sentirsi con Michael Stipe, cantante dei R.E.M., per una collaborazione tra le due band o persino un album insieme. Sembra infatti che a Cobain interessassero molto le sonorità dei R.E.M., anch’essi sperimentatori di vari generi come i Nirvana, ed avesse anche preso seriamente in considerazione l’idea di disintossicarsi. Le solite supposizioni. La storia, anche quella del rock, non si fa con i se e con i ma. Addio Kurt, icona di ogni ragazzino che vuole sentirsi un po’ “out”.


     
  • 1 commento

    1. toni mammi

      complimenti.critica altamente positiva.sei un grande.

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