• Quando fare impresa è una avventura eroica. Una ricerca degli Artigiani di Mestre rivela il disagio delle piccole aziende
    22/07/2012 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    PROPRIO IERI IL CENTRO STUDI della Cgia di Mestre ha pubblicato la sintesi di uno studio secondo il quale, a rendere ancor più tortuosa l’esistenza Pmi italiane è il costo parallelo della burocrazia quale tassa più o meno occulta che appesantisce il carico fiscale già di per sé considerato oramai campione a livello planetario registrando il “record mondiale” nella pressione fiscale effettiva attestandosi al 55% del Pil. Ebbene, lo studio rivela che al sistema delle Pmi italiane, la burocrazia costa 26,5 miliardi e rispetto a poco più di un anno fa, questa “tassa nascosta” è aumentata di 3,4 miliardi (+14,7%) gravando a zavorra su ogni singola Pmi per un costo stimato di 6.000 euro. E questa và ad aggiungersi alle tante note dolenti che già abbondano nel panorama del tessuto produttivo italiano, di cui francamente faremmo volentieri a meno. Giuseppe Bertolussi, segretario della Cgia di Mestre, si dice amareggiato per quest’ennesimo record negativo evidenziando che questo balzello invisibile “ sta soffocando il mondo delle Pmi. E, nonostante le misure di semplificazione adottate in questi ultimi anni, l’inefficienza del sistema pubblico italiano continua a penalizzare le imprese attraverso un spaventoso aumento dei costi.” E’ facile intuire che ciò basta poco a tradursi in una diminuzione di competitività che appesantisce il sistema delle Pmi italiane favorendo le imprese di altri paesi competitor che traggono un indiretto ma sostanziale vantaggio dalle scelte imprenditoriali (anche dei nostri imprenditori, e di history-case ce ne sono a iosa) di delocalizzare le attività.

     

    Ma tornando ai dati estraibili dalla ricerca, la voce che ha maggiore incidenza sui bilanci delle Pmi è quella del lavoro e della previdenza attraverso tutto ciò che concerne il ciclo passivo del lavoro: la tenuta dei libri paga; le comunicazioni legate alle assunzioni o alle cessazioni di lavoro; le denunce mensili dei dati retributivi e contributivi; l’ammontare delle retribuzioni e delle autoliquidazioni, costano al sistema delle Pmi complessivamente 9,9 miliardi all’anno. Poi vi è la sicurezza nei luoghi di lavoro, attraverso i capitoli riguardanti, ad esempio, la valutazione dei rischi, il piano operativo di sicurezza, la formazione obbligatoria del titolare e dei dipendenti che incidono sul sistema imprenditoriale per un importo complessivo pari a 4,6 miliardi. Quindi, il capitolo ambientale, con voci tipo : autorizzazioni per lo scarico delle acque reflue, la documentazione per l’impatto acustico, la tenuta dei registri dei rifiuti e le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera a pesa sul sistema delle pmi per 3,4 miliardi di euro l’anno. Non trascurabile è anche il costo amministrativo che le aziende devono sobbarcarsi per far fronte agli adempimenti in materia fiscale. Le dichiarazioni dei sostituti di imposta, le comunicazioni periodiche e annuali Iva e quant’altro al seguito, gravano complessivamente 2,7 miliardi. Poi via via, i costi per la privacy (2,6 miliardi), la prevenzione incendi (1,4 miliardi), gli appalti (1,2 miliardi) e la tutela del paesaggio e dei beni culturali (600 milioni). E, sempre Bertolussi conclude serafico: “Se teniamo conto che il carico fiscale sugli utili di una impresa italiana ha raggiunto il 68,6%, contro una media presente in Germania del 48,2%, c’è da chiedersi come facciano i nostri imprenditori a reggere ancora il confronto.

     

    Per questo bisogna dire basta ad un fisco opprimente e a una burocrazia ottusa. Lavorare in queste condizioni costringe gli imprenditori italiani a trasformarsi quotidianamente in piccoli eroi: questo non deve più accadere”. Ma dire basta non è sufficiente. Occorrono al Governo coraggio e determinazione per scrollare dalle spalle delle aziende pesi titanici di questa portata che possano essere reinvestiti in innovazione, ricerca sviluppo e creazione di nuovi posti di lavoro. Per così riattivare il volano dell’economia nazionale, senza farsi condizionamenti da parte della Ragioneria Generale dello Stato e soprattutto dal panico del mancato gettito fiscale. Considerando, quello di Bortolussi, un ammonimento tecnico adeguato ad orecchie sobrie.