• Il partito degli impresentabili.Tra “liste pulite” e candidati torbidi, il segno che fa la differenza
    15/01/2013 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    A SCORRERLO TUTTO si rischia l’incredulità. Ma l’inventario è lunghissimo e soprattutto trasversale. Ed enumera nomi secolari della politica italiana (Andreotti) ed onorevoli perfetti sconosciuti (Camber). La nutrita pattuglia dei c.d. impresentabili taglia in due il Parlamento e con ben 117 (poco) degni rappresentanti potrebbe essere considerato un vero e proprio “polo d’attrazione”. 79 (dis)onorevoli alla Camera e 38 al Senato; 68 di centrodestra, 17 di centrosinistra, 14 centristi e 18 facenti parte del gruppo misto. Un assortimento davvero notevole che si configura come la vera spina nel fianco per ogni partito che si appresta a vagliare le candidature. Nomi scomodi, peraltro eccellenti, eppur un tempo necessari poiché con il loro sostanzioso bacino elettorale spesso provvedevano a rimpinguare i seggi e (le seggiole) delle loro formazioni politiche riuscendo a far valere una sfera di influenza sul territorio e nelle stesse viscere dei partiti. E sono sempre loro che con irrefrenabili colpi di coda lottano sino allo strenuo per strappare l’ambita candidatura che spesso consente di metterli al riparo da inchieste ed indagini scomode, trincerando le loro responsabilità dietro una persecuzione giudiziaria che di tormentato ha solo l’ostinazione di voler accertare la consistenza dei fatti.

     

    Ecco, il timido accenno del governo attraverso l’emanazione del decreto legislativo contenente le norme sull’incandidabilità – meglio noto come decreto Liste Pulite – entrato in vigore proprio la prima settimana del 2013, ha nemmeno sfiorato il cuore del problema. I 18 articoli del testo hanno provato a mettere un argine ad un tema sensibile per l’opinione pubblica interna ed internazionale ma i criteri seguiti per l’applicazione, alla fine, sono risultati solo un pallido tentativo rispetto alle intenzioni iniziali – come a voler svuotare il mare con uno scolapasta – perlopiù boicottato dalle correnti dei partiti, se si pensa che la norma è apparsa da subito facilmente aggirabile e comunque vagamente restrittiva in relazione alla posta in palio: la rappresentanza (possibilmente con onorabilità, la più specchiata possibile) degli interessi dei cittadini nel governo della cosa pubblica.

     

    Il decreto stabilisce che è incandidabile chi abbia riportato condanne definitive a più di due anni per delitti di allarme sociale (ad esempio mafia e terrorismo) e contro la Pubblica amministrazione (corruzione, concussione, peculato), nonché chi sia stato condannato a più di due anni per delitti non colposi per i quali sia prevista una pena non inferiore, nel massimo, a 4 anni (dallo stalking al voto di scambio, dall’aggiotaggio ai reati fiscali). Ed il vaglio si adopera per la carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, per le cariche di presidente e di componente dei Consigli e delle Giunte delle unioni dei Comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e di alte istituzioni finendo ai presidenti ed ai componenti degli organi esecutivi delle comunità montane. Vaglio però spesso bucato dalle commissioni ad hoc interne ai partiti che decretano con giudizi sostitutivi e “ad personam” la congruità delle accuse. Ma che soprattutto, in mancanza della volontà di riformare il sistema dei partiti e la pessima legge elettorale in vigore, fanno di personalità fortemente discutibili o gravate da pesanti pregiudizi di moralità, teste d’ariete presso l’opinione pubblica spacciandoli per vessati abituali. L’esatto contrario di ciò che si dovrebbe. In fondo cosa possono contrapporre i cittadini da chi utilizza senza ritegno la fatwa del doppiopesista a giorni e visi alterni? Eppure qualcosa c’è. Un’arma formidabile da impiegare allo stesso tempo con sapienza, lucidità e fermezza nella solitudine dell’urna elettorale lontani dai miraggi dipromesse troppe volte irrealizzabili. Si tratta della matita copiativa. L’unica che possa – usata libera e consapevole – restituire l’autentica dignità al sostantivo democrazia.