• La rielezione di Napolitano tra necessità e restaurazione
    23/04/2013 | Giuseppe Campisi | Edicola di Pinuccio

    LA STORICA RIELEZIONE di Giorgio Napolitano a presidente della Repubblica – dato di per sé eccezionale nella sua pur ovvia piena costituzionalità – si presta, assieme alla inconsueta rottura del protocollo istituzionale, anche ad alcune riflessioni. Il precedente settennato, sicuramente tra i più malagevoli che la storia repubblicana ricordi, aveva visto irrompere sulla scena un ottuagenario compìto, parlamentare di lungo corso (Napolitano frequenta ininterrottamente le istituzioni dall’età di 28 anni) sul quale converse (al 4° scrutinio) la fiducia dei grandi elettori, i quali lo intesero forse più quale traghettatore, che non condottiero (quale poi si rivelò). Nel corso del suo primo mandato, Napolitano, più volte si è speso in moniti inascoltati ed esortazioni disattese conseguenti a riforme da fare nei settori economico-finanziari e correzioni da apportare a sistemi elettorali arrivando a auspicare modifiche alla seconda parte della stessa carta costituzionale. Nel rincorrersi certo di un concorso di colpe, comune ed indiviso, tra il capo dello Stato a cui non è bastato il polso e partiti e fazioni politiche che per un eccesso di esecrabile acredine e litigiosità hanno perso di vista il bene supremo della salvaguardia degli interessi nazionali più che di un segmento di essi, già imposto dalla funzione ricoperta.

     

    Nello stallo di una inverosimile battaglia tenutasi nell’emiciclo di Montecitorio a colpi di franchi tiratori, di certo si è consumata, in un epilogo impensabile, la sconfitta della classe politica italiana che stavolta seppur rinnovata per 6/10 con il parlamento più giovane di sempre non è assolutamente riuscita a dar corso a quel ricambio, necessario ed abituale, al vertice della rappresentanza repubblicana. Significativo l’insegnamento di Carlo Azeglio Ciampi che al termine del suo settennato pur invitato a proseguire declinando motivò che “nessuno dei precedenti presidenti della Repubblica è stato rieletto. Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa. E’ bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato”.

     

    La rielezione di Napolitano rappresenta un inedito precedente, maturato in un contesto di indomita rappresaglia infinita che ha certificato l’implicito passaggio da una repubblica parlamentare ad una presidenziale “in pectore”; il compimento di fatto di una non scelta intesa quale mera prosecuzione del mandato del predecessore che diviene – in continuità – anche successore; la colpevole refrattarietà al cambiamento degli stessi apparati di partito più intenti a farsi la guerra intestina con un occhio all’avversario piuttosto che impegnarsi a scegliere da contoterzisti la migliore soluzione per il paese. Ma ha altresì chiarito che la precedente presa di posizione in merito alla propria indisponibilità ad una nuova candidatura è stata dallo stesso Napolitano (eletto la seconda volta al 6° scrutinio) disattesa, infrangendo non solo la consolidata prassi ma molto più, prestando il fianco a retro pensieri dai più fantasiosi ai più cospiratori, non consentendo alla politica di auto-rigenerarsi costringendola al sacrificio dell’intesa a tutti i costi come fù per Leone (eletto al 23° scrutinio) o per Saragat (eletto al 21° scrutinio) ma anche per Pertini o Scalfaro (entrambi eletti al 16° scrutinio).

     

    Vero è che seppur nel perimetro del mandato costituzionale, lo stesso Napolitano non ha nascosto le sue intenzioni parlando con franchezza nell’ambito del suo discorso di insediamento avvertendo che “se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese”. E stavolta sicuro di poter pigiare il grilletto della persuasione potendo intimare al parlamento lo scioglimento delle camere (possibilità non disposta nell’ultimo semestre di fine mandato). E se magari a parlamento rinnovato, come lectio magistralis, scegliesse di dimettersi, manifesterebbe, nel pieno del suo potere esemplare, una apprezzabile volontà – consciamente latente nel secondo mandato, breve o lungo che sia – nel contrastare una certa desueta restaurazione.