SOVERIA MANNELLI – I molteplici aspetti con cui s’atteggia la devozione tradizionale delle genti di Calabria, fatta di esercizi spirituali, opere, orazioni, invocazioni, canti, vengono riportati, “con un buon lavoro di ricerca, sostenuto da un’ottima letteratura di riferimento”, da Antonio Iannicelli, catanzarese d’adozione, nel libro di recente pubblicazione: Sant’Antoniu miu binignu. Culto Universale e pratiche devozionali di alcune comunità calabresi (Edizioni Il Coscile, Castrovillari, € 13,00). Un lavoro ammirevole e straordinario nel suo genere che evidenzia una devozione sempre attuale al Santo Taumatugo che trova fondamento e rispondenze nella cultura tradizionale. Risolutore di tutte le afflizioni che possono investire il calabrese tanto per i bisogni spirituali che per le necessità materiali, Sant’Antonio viene invocato con gli aggettivi binignu, putenti, divinu, dilettu, nobili e divinu, bellu, beatu, binignu e divoto a secondo del tipo di intercessione richiesta: la pace dello spirito, la serenità della mente, la conversione delle anime, la vittoria su una passione, una guarigione, l’aiuto in un esame, la ricerca del buon marito, il ritrovamento degli oggetti smarriti; per tutti i calabresi resta sempre viva l’invocazione: Sant’Antoniu gigliu giucundu è numinatu pi’ tuttu ‘u munnu e c’ u teni pi’ avvucatu ‘a Sant’Antoniu sarà aiutatu.
Tra le notizie storiche di particolare interesse riportate nel lavoro di Iannicelli ci piace ricordare quella relativa alla devozione dei militari. Sant’Antonio, da sempre protettore delle reclute, è stato, comunque, molto amato dai soldati e godeva tra questi forte popolarità. Gli alpini che, durante la grande guerra, combattevano sul monte Cazzola, portavano sulla divisa in bella mostra la spilla con l’immagine di Sant’Antonio e la bandiera dei Savoia. Di recente sul Carso, durante alcuni scavi interessanti sempre la zona di guerra, sono state trovate diverse medagliette votive con l’immagine del Santo. Una popolarità così forte in tempo di guerra tanto da far pensare ad una devozione collettiva, espressa in un momento di bisogno o addirittura ad un intero battaglione consacrato al Santo. I precedenti c’erano stati. Durante la riconquista del Regno di Napoli da parte del Cardinale Ruffo (1799), le truppe, dopo la marcia trionfale nelle Calabrie, agli inizi di giugno si trovavano alle porte di Napoli. La strada per la capitale era libera ed i giacobini rintanati nel forte di Sant’ Elmo. Ruffo aspetta l’alba del 13 giugno 1799 per ordinare l’assalto alla città. Si voleva far coincidere la liberazione di Napoli dai francesi con la ricorrenza della festività del grande Taumaturgo, essendo i realisti sacrati a Sant’Antonio. E il Santo diede il buon segno. Un colpo di cannone dei Borbonici andò a spezzare di netto l’asta della bandiera repubblicana sventolante su forte Sant’Elmo. La rovinosa caduta dell’odiato vessillo fu salutata con immenso entusiasmo dalle truppe. L’episodio della cannonata miracolosa sarà poi ripreso in tante stampe di oleografia popolare. Sant’Antonio di Padova viene salutato come il nuovo generalissimo, il nuovo Santo patrono che ha saputo farsi valere come grande mazziatore dei nemici della città. Nelle strade appaiono raffigurazioni popolaresche di Sant’Antonio che fustiga San Gennaro per le sue presunte debolezze filo-giacobine. A rua Catalana, in un grande quadro esposto al pubblico, viene raffigurato Sant’Antonio che con un bastone le dà di santa ragione a San Gennaro. San Gennaro riceve da Sant’Antonio, protettore dei lazzari, ‘nu santantoniu. Anche il re di Napoli fu riconoscente a Sant’Antonio. Per l’avvenuta riconquista del regno, un editto di Ferdinando IV del 13 ottobre 1801 proclamò il Santo di Padova patrono del Regno di Napoli. Sant’Antonio riceveva così ampia ed universale venerazione su tutto il territorio del Regno.
E così, per lungo tempo nel Meridione d’Italia il culto del Santo fu talmente forte da avere il sopravvento finanche sulla festa riservata al Santissimo. Infatti quando la festa del Corpus Domini cadeva il 13 giugno, in quel giorno si festeggiava Sant’Antonio di Padova, tralasciando o rinviando la solennità del Corpus Domini . La popolarità militare di Sant’Antonio viene confermata anche durante l’ultima guerra. Nelle chiese e presso i distretti militari veniva distribuito un santino raffigurante Sant’Antonio di Padova benedicente le truppe armate di terra, di aria e di mare. L’implorazione a bella scritta era: “Sant’Antonio proteggi i nostri soldati”. Nella preghiera riportata a tergo del santino, il soldato chiedeva, con l’intercessione del Santo, la grazia di cui aveva bisogno “nelle aspre e dure fatiche della guerra”. In particolare implorava il Santo “aiutatemi a compiere lietamente e valorosamente il mio dovere di soldato d’Italia e di difensore della civiltà”. In un altro santino dello stesso periodo, nella “Orazione a Sant’Antonio per gli attuali bisogni” la richiesta per una pace duratura viene avanzata dal famigliare di chi è andato in guerra: “Voi che Vi moveste a pietà di tanti infelici, abbiate ora di noi pietà; proteggete i nostri cari lontani esposti a indicibili sofferenze e alla morte e salvateli; asciugate le lacrime di tante madri desolate, assistete tanti fanciulli privi di ogni umano appoggio; consolate nella sventura le vedove; date conforto a noi tutti affranti da sì gravi sciagure….. e fate che, per Vostra intercessione, presto sulla terra insanguinata sorrida la pace, quella pace di cui con l’abbandono di Dio ci rendemmo perversamente indegni, quella pace santa che estingue ogni odio e ci affratelli di nuovo”.
E i militari in guerra mantengono con Sant’Antonio un fitto dialogo. Implorano il Suo Patrocinio nelle dure fatiche e nei pericoli giornalieri della guerra, come emerge dalla copiosa corrispondenza inviata al Messaggero di Sant’Antonio. Finita la guerra, Sant’Antonio, già invocato in tante manifestazioni religiose-patriottiche, incominciò ad essere implorato di occuparsi dei dispersi nelle diverse nazioni, di coloro che non avevano fatto più ritorno a casa e dei quali non si avevano notizie. Ebbene nei martedì dedicati alla preghiera del Santo, le Associazioni degli Orfanelli inseriscono la preghiera per ottenere la grazia a che questi ex soldati facciano felice ritorno in seno alle loro famiglie. Una curiosità: durante il Ventennio, Sant’Antonio è stato “omaggiato” anche di saluti fascisti. Nel 1931, a Nicastro, il vescovo Eugenio Giambro aveva cercato di attuare le raccomandazioni dell’Episcopato Calabrese e mettere fine a taluni abusi che si verificavano durante lo svolgimento della festa del Patrono. Aveva così emanato precise disposizioni circa lo svolgimento della processione e in particolare aveva fatto divieto di appendere danaro alla statua del Santo; di fermarsi con il simulacro davanti ad abitazioni ed esercizi pubblici; di cantare, durante la processione a richiesta o dietro pagamento; di riaccompagnare la processione in chiesa dopo l’Ave Maria.
Le disposizioni del Vescovo vennero mal interpretate dal popolo che manifestò forte malcontento, strumentalizzato da quei gerarchi che non avevano tollerato l’accordo tra Stato e Chiesa realizzato con i Patti Lateranensi. Costoro, sin dalla metà di maggio del 1931, organizzarono dimostrazioni per le vie di Nicastro gridando slogan di osanna per il Duce e di abbasso per i preti. E fu così che il giorno della festa, i fedelissimi del Santo, spalleggiati dai gerachi locali si portarono in chiesa e contro il volere del clero s’impadronirono, con la forza, del simulacro e diedero vita alla processione che durò tre giorni. Più di una volta la processione passò davanti al Seminario e al Palazzo Vescovile. Si faceva allora una breve sosta ed un gerarca, in tono provocatorio e più volte gridava: e per Sant’Antonio eja, eja… e la piccola folla, insieme ai portatori rispondeva: alalà. L’anno successivo, essendosi la popolazione ravveduta, la processione durò solo mezza giornata, nel rispetto dell’ordinanza del vescovo. In tempi recenti, i Lametini hanno interessato il Santo anche in merito alla soppressione del Tribunale locale: il 13 giugno 2012, giorno della festa, la processione si è fermata davanti al tribunale ed al Santo è stata richiesta, collegialmente dagli avvocati, dalla popolazione e dalle Forze dell’Ordine la divina intercessione per scongiurare la soppressione del tribunale. Ma quello affrontato in questo articolo è solo un particolare aspetto del libro. Iannicelli nel suo lavoro di ricerca sulle pratiche devozionali a Sant’Antonio di Padova di alcune comunità calabresi rimanda ad un insieme di testi, storie, vicende e volti sconosciuti ai supermercati del libro, descrivendo con intima passione riti, processioni, avvenimenti e facendo partecipare il lettore, con semplicità e modestia alla sempre viva ed attualizzata storia devozionale delle genti di Calabria.