• L’Italia attuale secondo Albanese. “Tutto tutto niente niente” sbanca subito al box office. Cetto & co ancora rappresentanti del mondo (mal)politico
    22/12/2012 | Filippo Mammì | Edicola di Pinuccio

    Tutto tutto niente niente Regia: Giulio Manfredonia Sceneggiatura: Antonio Albanese, Pietro Guerrera Interpreti: Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio, Luigi Maria Burruano, Paolo Villaggio. Genere: Comico/Grottesco Prima uscita in Italia: 13 dicembre 2012. Produzione: Fandango, Rai Cinema.

    Uno e trino. Nel sequel del campione d’incassi Qualunquemente Antonio Albanese, oltre a riprendere l’ormai proverbiale Cetto La Qualunque, regala al pubblico altri due personaggi non meno orridi del signor Cetto: Frengo Stoppato, il tossico foggiano nato nell’ambito della trasmissione Mai dire Gol, e il secessionista Rodolfo Favaretto, detto Olfo, fratello minore in salsa veneta dell’Ivo Perego del film La fame e la sete (1999). Un trio per raccontare la trinità di potere italiana: (mala)politica, Chiesa e deriva estremista.

     


    Quello che in Qualunquemente era solo un accenno per raccontare una realtà sociale specchio di una Nazione, in Tutto tutto niente niente diventa un racconto corale che abbandona la caricatura del primo film per trasfigurare grottescamente un intero sistema di potere. E il risultato è ottimo: erano anni che in un film italiano non si vedevano parlamentari e ministri ritratti con tanta cattiveria, uomini ingessati in delle allucinanti giacche colorate, con le facce stravolte in sguardi torvi o sorrisetti inquietanti, un Vaticano opulento teatro di trame oscure, un Montecitorio ridotto ad un misero circo in cui si riuniscono dei pagliacci con la coscienza sporca.

     


    Tant’è che ad uscirne quasi puliti e con una certa simpatia sono proprio i nostri tre “eroi”: Cetto, Frengo e Olfo non sono più demenziali maschere ambasciatrici di certi strali della società, sono delle marionette in mano al potere, ma più vivi e meno ipocriti del marciume umano (e politico) che li circonda; non è un caso, infatti, che ne verranno inesorabilmente allontanati. Anzi, nel corso del film ci si accorge che sono gli unici personaggi animati da proposte concrete: Cetto questa volta non entra nel vivo della trama a causa di un’esilarante crisi politica e sessuale che lo attanaglia all’improvviso; Frengo, spinto dalla madre e dalle invadenti zie, sogna di riformare la Chiesa, si presenta come “delfino del Papa”, spinge un umile fraticello all’uso della cannabis, esalta la Sacra Famiglia come esempio di nucleo familiare non convenzionale (vedere per credere); Olfo, oltre a coltivare il desiderio di diventare cittadino austriaco, vuole costruire un’immensa autostrada per collegare l’intero Nord Est.

     

    Tutti progetti, i loro, degni di chi li ha concepiti, proteso verso la realizzazione di essi, quando il suo compito, come spiegato dal mellifluo Sottosegretario (Bentivoglio dovrebbe farsi vedere più spesso in questi ruoli), è solo quello di godere dell’immunità parlamentare, circondarsi di segretarie e portaborse e “votare ogni tanto”. I tre, insomma, non sono tanto delle mine vaganti che sfuggono al controllo di chi li ha fatti uscire dal gabbio per usarli, ma fanno venire allo scoperto cosa è diventata la politica odierna, vittima della corruzione e del clientelismo, in cui il grottesco è solo un lieve ritocco a ciò che quotidianamente accade sotto gli occhi di tutti.
    E il pubblico se n’è accorto premiando il film con un’affluenza massiccia in tutta la Penisola; solo nello scorso fine settimana ha incassato ben 2.366.192 euro sbaragliando al botteghino, mentre, in Francia, ha ottenuto l’elogio del quotidiano
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