• Il gran rifiuto del pontefice. A pochi giorni dalle dimissioni di Benedetto XVI, non si placano le voci e gli interrogativi
    22/02/2013 | Filippo Mammì | Edicola di Pinuccio

    MANCA POCO AL FATIDICO 28 febbraio che vedrà, alle 20, le dimissioni ufficiali di papa Benedetto XVI dal soglio pontificio, dopo averle annunciate una settimana fa durante un discorso che ha colto impreparato il mondo intero. Impreparato perché erano secoli che non si vedeva un Papa rinunciare (la parola giusta sarebbe “abdicare”) alla sua missione di successore di Pietro e vicario di Cristo nonostante alcuni precedenti storici: il “gran rifiuto” dantesco di Celestino V nel 1294 dopo appena quattro mesi di pontificato e quello di Gregorio XII che rinunciò al trono papale nel 1416. C’è da dire che questi due papi furono in un certo modo “giustificati” nelle loro scelte, in quanto allora la Chiesa era perennemente scombussolata da conflitti di potere tra papi e tra papi e imperatori, da scismi e persino dai cosiddetti antipapi, conflitti in cui il messaggio evangelico aveva ben poco a che fare. E adesso cosa, nella Chiesa post – concilio, può spingere il Papa a rassegnare le proprie dimissioni?

     

    Tantissimi se lo saranno chiesto in questi giorni confusi e non tutti hanno saputo dare una risposta esauriente, lo stesso Benedetto XVI (anzi, Joseph Ratzinger) non ha voluto dare ulteriori spiegazioni, ha promesso solamente di “scomparire dal mondo”, un’ulteriore scelta che ha dato adito ad altri interrogativi. Mentre il mondo cattolico si è spaccato tra chi sostiene la volontà del Papa e chi invece fa presente che neppure Gesù si è tirato indietro davanti all’estremo sacrificio oltre a fare l’esempio di Giovanni Paolo II che, anche nella malattia, è rimasto saldo al suo posto, molti tra teologi, giornalisti e studiosi hanno preferito interrogarsi sulle possibili motivazioni, personali o legate a qualche vicenda della Chiesa, che hanno spinto il Papa ad una decisione così drastica per il Vaticano. Anche se fortemente criticata, la decisione di un Papa di rinunciare al suo ministero è contemplata dal Codice di diritto canonico che dice, nel libro II, che il Pontefice può rinunciare liberamente al suo ufficio a patto che “la rinuncia sia fatta liberamente e che sia debitamente manifestata”, cosa che il Papa ha fatto lo scorso 12 febbraio davanti ai cardinali. Quindi, non è stato commesso alcun arbitrio da parte del Pontefice e neppure un “resa” nella sua, certo strana, rinuncia. Le cause andrebbero quindi ricercate all’interno delle mura vaticane e infatti c’è chi si è scervellato immaginando chissà quali complotti o che comunque le dimissioni abbiano a che fare con i passati scandali dei preti pedofili, dello Ior o dell’arresto e condanna dell’ex maggiordomo del Santo Padre, Paolo Gabriele. Chi scrive crede semplicemente che Joseph Ratzinger non sia mai stato il miglior candidato al soglio di Pietro; Ratzinger è certo un fine teologo e studioso di filosofia ed i suoi più grandi meriti (l’accostamento della filosofia alla fede, il conflitto tra fede e ragione) li ha compiuti soprattutto da cardinale.

     

    A vederlo dalla finestra del suo ufficio che affaccia su Piazza San Pietro, con l’aria pacata, lo sguardo timido e la voce tranquilla, ha sempre dato l’impressione di un professore che prova a fare il lavoro di Pontefice. E’ stato un uomo di Chiesa più propenso alla preghiera che all’azione, proprio come Celestino V che era un monaco eremita, insomma un grande pensatore che non poteva essere anche un grande uomo che si rivolge alle masse. Ed anche qui torna lo spettro di Papa Wojtyla, quel Giovanni Paolo II di cui sicuramente lo stesso Ratzinger ha troppe volte sentito, come un macigno, il confronto schiacciante. Quel Papa divo, a suo agio nella meditazione come nell’incontro con migliaia di fedeli, che non vedeva la differenza nel parlare con un laico o con un monsignore, che sapeva governare e benedire con una presenza scenica che pochi altri Papi hanno avuto, quel Papa era veramente difficile da sostituire nell’immaginario collettivo. Non che Benedetto XVI non ci abbia mai provato: il suo desiderio di portare avanti il discorso del Concilio Vaticano II e le sue aperture verso le altre fedi (ortodossi e anglicani soprattutto) hanno sicuramente portato a frutti duraturi. Ma il nostro modesto parere è che il Papa non poteva aspettarsi le polemiche che hanno costellato il suo pontificato, dallo scandalo pedofilia al processo di Paolo Gabriele per aver divulgato documenti sottratti dalla scrivania papale, non era sicuramente preparato a tutto questo o, forse, non ne ha valutato dettagliatamente la loro portata.

     

    E poi c’è sempre il discorso dell’età: può anche darsi che sia appunto la vecchiaia, per un Papa quasi 86enne, il vero motivo per non andare oltre nel proprio ufficio. La stanchezza e la fatica accumulate in questi anni possono veramente essere state deleterie per il Pontefice, senza pensare, come hanno fatto molti, a qualche malattia grave. Sicuramente il bisogno di sparire lascia pensare a molte cose, come se Ratzinger abbia voglia di star lontano da qualche oscuro evento che si presenterà in futuro o perché debba affrontare qualche ostacolo troppo grande da mostrare in pubblico. Checché se ne dica, la sua è stata una libera scelta da rispettare, sicuramente dura da digerire, essendo stati abituati ad una figura papale che si erge su tutto, svolge le veci di Cristo e lascia il ministero solamente con la morte, ma per quanto sia difficile da accettare non significherà per forza la “fine” di qualcosa, come se una strana decisione debba forzatamente anticipare una qualche catastrofe, terrena o spirituale che sia.