• Gentile (Sulpi): “Pur di non toccare gli imboscati si chiudono il plesso operatorio e 12 posti letto all’ospedale di Polistena”
    30/04/2013 | Giuseppe Gentile, Sulpi Calabria | Comunicato

    POLISTENA – La carenza di personale infermieristico non trova soluzione nell’Asp di Reggio Calabria pur sapendo, nella stanza dei bottoni, dell’esistenza di oltre 50 Infermieri utilizzati in mansioni diverse e di categoria inferiore. Nessuno parla di questi imboscati, solo gli autisti del 118 di Taurianova hanno avuto il coraggio di denunciare pubblicamente la presenza di ben 7 Infermieri Professionali (fatti salvi quelli con gravi limitazioni) in un ufficio di Taurianova e, per aver detto ciò si sono beccati un provvedimento disciplinare. E pensare che il Direttore della Centrale Operativa del 118 si era accorto di questo utilizzo improprio ed aveva emesso un ordine di servizio, per mandarli sulle ambulanze, ma quella disposizione di alcuni mesi or sono è rimasta disattesa. Come contraltare la Direzione Generale dell’Asp, in data 18 Aprile u.s., convoca una rione con i sindacati per chiudere il servizio notturno e festivo del Blocco Operatorio di Polistena e recuperare così 5 Infermieri Professionali per coprire le carenze di organico in altre Unità Operative. Oggi apprendiamo che un’altra tegole cade addosso agli ammalati della Piana di Gioia Tauro, con la chiusura di 12 posti letto dell’Unità Operativa complessa di Medicina, sempre dell’Ospedale di Polistena.

     

    Con questa operazione si ha la certezza di recuperare altri 8 Infermieri Professionali da destinare, in parte ad attività ambulatoriali (si tratta degli Infermieri più giovani poiché rimane chi ha maggiore anzianità di servizio), in parte ad altre Unità Operative. Questo scenario fa sorgere continue proteste da parte di chi adempie a pieno al proprio dovere in maniera seria e responsabile. Proteste motivate dalle insopportabili ricadute negative sull’assistenza all’ammalato con rischio continuo d’interruzione di pubblico servizio (si programmano le ferie estive obbligatorie). Per tale ragione, alcuni di questi professionisti della sanità, hanno sentito il dovere di formalizzare tali gravissime problematiche annunciando azioni di tutela individuale e collettiva. E pensare che al famoso tavolo di trattative alcuni rappresentanti sindacali, guardando l’interesse individuale dei propri iscritti, si sono battuti solo per garantire il criterio dell’anzianità di servizio e favorire il trasferimento dei più giovani, pur tralasciando l’interesse generale della funzionalità del plesso operatorio (a volte bastano pochi minuti per salvare una vita umana) e dell’U.O. di degenza della Medicina con l’indice di occupazione posti letto al 100% ed il DRG più alto d’Italia, guardandosi bene di non parlare degli imboscati e delle gravissime ricadute negative sull’ammalato. Ancora una volta vengono colpiti i lavoratori veri, quelli senza protezione sindacale e/o di appartenenza politica, quelli sempre presenti e ligi al dovere fino al punto da soffrire in silenzio e svolgere persino le attività ausiliarie e del personale di supporto socio sanitario (assente da troppi anni in tutte le Unità Operative dell’Ospedale di Polistena).

     

    Ma, ancor più grave è il rischio di perdere l’ammalato critico in emergenza notturna e festiva e poi, con la chiusura dei 12 posti letto di Medicina aumenterà ancora il disagio delle persone deboli che andranno a far lievitare l’emigrazione sanitaria. Altro che piano di rientro dal debito! Evidentemente non rientra nei programmi aziendali l’utilizzo di personale distratto, si scrivono disposizioni di servizio per ottimizzare le risorse umane sul principio della spending review, ma poi, si spremono al meglio solo ed esclusivamente gli infermieri professionali che già lavorano e si lasciano tranquilli quelli utilizzati in mansioni amministrative. Forse la Direzione dell’Asp non ha consapevolezza del danno economico a cui si va incontro? Eppure questi imboscati rivestono la categoria “D” e svolgono mansioni di categoria “B” (ben 2 categorie inferiori), quindi sono retribuiti due volte tanto rispetto al lavoro svolto. Insomma un sistema funzionale alla politica dei “capi” ma fortemente deleterio per la cura degli ammalati. Festeggiare il 1° Maggio nel momento di crisi che si vive nel nostro territorio, vuol dire essenzialmente garantire i diritti e dare pane e lavoro agli inoccupati, disoccupati, cassintegrati, in mobilità, ai precari e a tutti quelli che non hanno i mezzi sufficienti per condurre una vita normale, ma, per fare questo chi ha un lavoro deve fare il proprio dovere fino in fondo ed essere al servizio dell’intera comunità altrimenti non saremo credibili.