CINQUEFRONDI – Nel 2007 si era affaccia la prospettiva di avere, finalmente, nel territorio di Cinquefrondi un’area P.I.P. per dare concreto impulso agli imprenditori locali di ingenerare sviluppo e soprattutto occupazione; una valida trovata per strizzare opportunamente l’occhio, in particolare, al mondo dell’imprenditoria per ottenerne ricadute importanti in termini di investimenti ed impiego. Una necessità, se si pensa, ad esempio, come la vicina Polistena, già dal 1990 dava attuazione a questo proposito con la giunta targata on. Tripodi, che, come si è visto, si è rivelato un intervento strategico che ha prodotto risultati soddisfacenti per i piani occupazionali prefigurati. Ma mosso il primo passo di una conferenza illustrativa, a memoria, non se ne ricorda seguito. Parliamo di anni pre-crisi durante i quali vi erano delle prospettive possibiliste di reperire capitali, anche misti pubblico-privati, da convogliare in un progetto interessante per il nostro territorio. Col senno di poi, si può affermare che è stato un vero peccato di ingenuità politica quello di non aver avanzato il progetto, non averlo strutturalo ed non averlo messo al servizio della città. D’altro canto, con un’area a disposizione da destinare a tali usi, la collettività non poteva altro che ricavarne benefici. Principalmente in tributi locali da spargere in servizi, occupazione, e crescita di benessere. E con la generazione di un molteplice indotto, le ricadute si sarebbero riversate a cascata a partire dai comuni limitrofi sino all’ambito regionale, com’è poi avvenuto nell’esempio che precede. Inoltre, con l’applicazione dei giusti meccanismi legali di tutela della proprietà pubblica, specificando i precisi obblighi ed i nascenti diritti sulla superficie, si poteva sperare indirettamente, quasi in una sorta di rendita certa. Forse nella fase iniziale le richieste per gli utilizzi delle superfici non sarebbero fioccate a iosa, ma probabilmente con la giusta pubblicità circa i vantaggi ottenibili non sarebbero nemmeno state modeste. Allo status quo, ovviamente, di questo non se ne può aver contezza. Ed ora che fare? Con una manovra severa ed impegnativa come la prossima, che non si sa ancora se addirittura sufficiente, e con la razionalizzazione delle sovvenzioni comunitarie, cercare di attrarre capitali, diviene compito ancor più malagevole. Per stimolare l’appetito e tentare di attrarre investitori potrebbe esser il caso di ricorrere a studi di settore per capire come meglio poter ancor’oggi pensare di impiegare l’area a suo tempo individuata, ed in soccorso potrebbero esser coinvolte la Camera di Commercio, i Centri per l’Impiego provinciali e sinergicamente il mondo dell’Università oltreché gli Assessorati regionali competenti per materia, per stimare quali reali sbocchi poter dare, suggerire i percorsi virtuosi su strade imprenditoriali da poter intraprendere, capire a livello industriale ma anche artigianale quali possano essere le richieste di produttività che pervengano dal mercato. Creare, insomma, una sorta di incubatore monitorato che contenga oltre alla superficie utile e pronta per l’uso anche l’input di un’idea mirata e realizzabile a vantaggio sia della classe imprenditoriale, che permetta di non realizzare investimenti a vuoto ma al contrario che possano avere una continuità e soprattutto provvisti di domanda già ponderata proveniente dal mercato che culmini con la risposta della produzione, e sia a vantaggio dell’occupazione (che poi è il vero obiettivo) per vedere sfoltite le locali liste dei disoccupati ed inoccupati. Il forte bisogno, visti i tempi stringenti di cui faremmo volentieri a meno ma che ci stanno accompagnando e non sappiamo per quanto tempo, di una decisa azione sinergica tra Istituzioni tendente a fare rete per potere superare questo triste momento storico d’incertezza che soprattutto rischia di revocare le speranze dei giovani nel potersi immaginare il proprio futuro, è facilmente avvertibile. E’ opportuno comprendere come il mancato accoglimento delle pressanti istanze di normalizzazione di un comprensorio come il nostro oramai da troppo tempo vessato, si tradurrebbero rischiosamente in un ulteriore immeritato svantaggio rispetto alla già evidente sperequazione nazionale, in un gravame aggiuntivo oltre che salatissimo che la nostra politica non deve concedere e non si può permettere.